I renziani delusi e il resto d’Italia

Su un punto Matteo Renzi, con tutte le critiche che gli si possono muovere, ha ragione: il giudizio sul tentativo di governo non può essere dato oggi, e non può dipendere dai mal di pancia causati dai tornanti stretti dell’Italicum.
Lui per primo deve saper distinguere due diversi tipi di obiezioni che salgono dal suo stesso mondo. Da una parte c’è la reazione infastidita dei puristi renziani di fronte agli inevitabili compromessi. Nasce da un fondo di moralismo e si alimenta di un mito delle origini già potente nonostante si tratti in fondo dell’altroieri.

Senza iattanza, anzi con rispetto, Renzi dovrebbe fregarsene. Più stringente e vincolante delle promesse fatte al popolo della Leopolda, Renzi ha un impegno col popolo italiano, cioè con un interlocutore diverso e più ampio di tutte le Leopolde messe insieme.
Davanti al paese la credibilità di Renzi sembra essere ancora intatta, e la prova vera arriverà solo sulla concretezza delle misure sul lavoro e sulla autorevolezza del giovane premier davanti agli assillanti partner internazionali. In questo senso, l’esordio nel vertice europeo di oggi sarà significativo: anche se sul tema ucraino siamo francamente di rincalzo, sarà importante non farsi marginalizzare o non farsi notare per caratteristiche gaffes à l’italienne.

Il secondo tipo di critiche amiche non ha nulla di moralistico o di nostalgico. Viene da chi valutava il quadro politico del governo Letta troppo confuso, logorato e fragile da prestarsi a essere trampolino della “rivoluzione” renziana.
Ora costoro trovano nella vicenda della legge elettorale spiacevoli conferme. Ma la vicenda è in corso, le scommesse negative sulla disponibilità del senato ad autoriformarsi (e intanto già solo a confermare l’impianto dell’Italicum senza scherzi) possono valere come quelle positive. Renzi non può fare inversioni a U, deve rimanere sul lato dell’ottimismo, tenterà di far girare pagina all’agenda politico-mediatica passando al Jobs Act. E a dubbi che hanno una base di razionalità può dare una risposta: chiarire che lui non è a palazzo Chigi a qualsiasi costo; che c’è un limite al compromesso; e che non s’è già consegnato alla palude parlamentare che non lo ama (in gran parte composta dal suo stesso partito).
Insomma, per quanto la cosa abbia un peso relativo (vale sempre il discorso della priorità da dare al feeling col paese), Renzi è in tempo per dimostrarci che noi sbagliamo e che lui ha ragione.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.