Le dimissioni di Gentile

Matteo Renzi (si) è condannato a fare le cose, anche quelle difficili, in modo semplice e diretto. O almeno a farle risultare semplici e dirette. Che sia dotato di una forte professionalità politica è evidente, dunque non è affatto privo di malizia e acume tattico. Ma non può permettersi che questi skill prevalgano sull’immagine del leader a una dimensione. Per i problemi che gli si sono parati di fronte per ultimi, era evidente quali fossero le soluzioni facili e dirette da comunicare.
Il sottosegretario scelto male e difeso peggio, l’ormai famigerato Antonio Gentile, doveva lasciare il governo nel quale non avrebbe dovuto mai entrare. È finita così, nell’unico modo possibile e tutto sommato più rapido, senza dare il tempo alle opposizioni di presentare le prevedibili e giustificatissime mozioni per le dimissioni. E in ossequio al principio secondo il quale i sottosegretari sono tali perché godono della fiducia del presidente del consiglio, non del parlamento, e Gentile non avrebbe mai potuto godere della fiducia di Matteo Renzi per come abbiamo imparato a conoscerlo.

Dopo di che rimane il vulnus della scelta sbagliata, e il fatto che secondo noi non fosse l’unica. È infatti abbastanza incomprensibile, senza ricorrere a pensieri reconditi che mal si associano all’immagine che Renzi ha voluto dare di sé, che al ministro della giustizia sia stato affiancato un emblema del correntismo e del corporativismo togato come il sottosegretario ex (?) berlusconiano e ora sedicente “tecnico” Cosimo Ferri. Oltre tutto, qui i rapporti con Ncd non c’entrano.

Con le dimissioni di Gentile s’è risolto almeno uno dei problemi di politica ultra-domestica che Renzi s’era trovato di fronte. L’altro è quello che riguarda la riforma elettorale, e anche su questo c’è solo una strada chiara e diretta da seguire: l’Italicum va approvato alla camera entro questa settimana, nella versione contrattata con Berlusconi e poi corretta con Alfano, senza escamotage barocchi e improbabili tipo l’esclusione del senato dall’applicazione delle nuove norme.
L’ideale sarebbe se il premier potesse avere il suo battesimo internazionale, giovedì a Bruxelles per il vertice straordinario sull’Ucraina, essendosi liberato di queste complicazioni. Per passare poi, al ritorno, alle cose serie e davvero urgenti: il Jobs Act, che aspettiamo di leggere possibilmente prima della signora Merkel.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.