L’inconsistente adesione al PSE

È stato un atto poco più che di testimonianza, ma onore agli sparuti dirigenti del Pd che hanno trovato parole per criticare l’adesione al Partito del socialismo europeo, anche a nome di diversi loro colleghi che l’hanno subita senza pronunciarsi. Non perché non sia stata una scelta inevitabile, proiezione continentale di una vocazione al bipolarismo che in Italia fatica, e a Bruxelles da sempre si sostanzia più che altro in consociazione e staffette tra socialisti e popolari rigorosamente sotto la regia degli Stati nazionali.

Il limite vero dell’operazione è che la famiglia politica dalla quale si fa adottare il Pd è sostanzialmente una finzione. Ogni volta che si rimarca la dimensione globale e sovranazionale di tutte le scelte politiche che contano, proviamo a chiederci quale sia il ruolo che vi recita il Pse. L’unica risposta possibile è: nessuno. Abbiamo ancora negli occhi l’immagine – recente, meno di due anni fa – della famosa foto di Parigi: che cosa è rimasto del Manifesto sottoscritto da Bersani, Hollande e Gabriel, la bandiera dell’Europa del lavoro e della crescita contrapposta all’Europa del rigore neoliberista?
Non sono solo le sconfitte elettorali di italiani e tedeschi intervenute nel frattempo, e il precoce declino dei francesi, a rendere sbiadita quell’immagine. Il fatto vero è che nessun cittadino europeo crede che le decisioni che lo riguardano si giochino nella partita tra partiti, quando ancora così evidente e prepotente è il dominio della relazione fra governi.

Ne deriva che la scelta votata ieri dalla meno seguita fra le direzioni democratiche più che dannosa è inconsistente. Un gesto pro-forma, la chiusura di un contenzioso antico che interessa pochi reduci.
Il Pd e Renzi devono assolutamente vincere le elezioni europee: il contrario sarebbe esiziale. E possiamo star certi che in quella campagna elettorale non evocheremo né socialismo né progressismo, né proveremo a convincere gli italiani della forte leadership del candidato Martin Schulz. Lo scontro sarà con Grillo, un po’ anche con Tsipras, contro i quali potranno essere usati solo i risultati del governo di Roma e una superiore capacità di demolire il vecchio impianto della politica nazionale e della nostra subalternità internazionale. Il tutto mentre (giustamente) facciamo visita alla Merkel e ci compiacciamo dei giudizi positivi del Fmi della Lagarde: non sarà facile, e lo scudo del socialismo europeo non aiuterà granché.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.