La promessa di Cuperlo

Il discorso che mi fa Gianni Cuperlo è promettente: «Vedi Stefano, le persone che sono riunite lì dentro faranno presto il loro tempo. Ormai tocca a noi, a quelli della nostra generazione, prendere in mano il destino della sinistra». Gentile e pacato come sempre, ma fermo, Cuperlo ha un’idea precisa sull’imminente inevitabile passaggio generazionale.

È l’8 marzo 1997, però. Siamo fuori le mura dell’inaccessibile borgo di Gargonza. Dentro, come poi passerà alla storia, Massimo D’Alema (di cui Cuperlo è stretto consigliere) sta infilzando Prodi, Veltroni e tutta l’utopia ulivista, in nome del primato dei partiti: tanto tempo, tanti partiti e tanti movimenti sono passati da allora, come vedete non è che i termini della questione siano cambiati molto.
Ma non mi interessa qui contemplare il riproporsi del dualismo partito-società civile e militanti-cittadini (del resto solo pochi mesi dopo Gargonza lo stesso D’Alema partì per un’avventura politica iper-personalizzata nella quale il Pds come tale non esisteva: gli argomenti sono flessibili).
Mi interessa sottolineare i sedici anni che sono trascorsi da quel bel ragionamento di Cuperlo. Perché sono l’unica vera riserva che mi sento di porre alla sua attuale forte candidatura alla guida del Pd. Finalmente, direi. Ce n’ha messo di tempo, l’ex ragazzo prodigio, amato capo della Fgci e mio quasi coetaneo, per fare il suo passo.

Gianni aveva 36 anni, sedici anni fa: quasi la stessa età di Renzi che si misura con Bersani. Aveva una forte percezione del logoramento, già allora visibile, della generazione che aveva traghettato il Pci oltre il Muro. Ma per un misto di carattere, interessi culturali e scarsa propensione a emergere non diede mai corso a quel preannuncio di battaglia generazionale.
Invece sarebbe servita, fatta già allora. Se tanti anni dopo Renzi è dovuto salire su un bulldozer per farsi strada, è anche per tante analoghe esitazioni precedenti.
Ora Cuperlo sostiene che «un partito non è solo un leader». Ha molta ragione, il perché l’abbiamo scritto qui solo dieci giorni fa. Anche a Renzi farà bene essere sfidato su questo punto, ammesso che gli interessi la sfida.

Io però, chissà perché, sedici anni dopo quella chiacchierata al sole di Gargonza mentre nell’abbazia moriva il sogno ulivista, preferirei non dover leggere che Gianni Cuperlo è «il candidato di D’Alema». Insomma, mi suona come una promessa delusa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.