Piccoli sensibili spostamenti

Ora tutto è rimesso, come ha detto Bersani, «alla saggezza di Napolitano». Che non è poco, con buona pace di quel pasticcione arrogante che i grillini hanno eletto loro capogruppo al senato.
La lunga giornata del Quirinale ha lasciato le cose come erano alla vigilia. Apparentemente. In realtà qualche spostamento, positivo o negativo ai fini dell’individuazione di una soluzione, si può intravedere. E in merito il capo dello stato, soprattutto dopo il lungo colloquio con Bersani, ha ovviamente più elementi di giudizio di quanti ne abbiamo noi.

Dovessimo scommettere un euro sulle sue determinazioni di oggi, propenderemmo per un pre-incarico a Bersani, senza avviare fin d’ora il segretario del Pd alla conta parlamentare della fiducia.
L’atteggiamento del M5S è figlio delle disavventure dei primi giorni in parlamento. I grillini sono sospesi fra la strategia dell’assenza di Grillo e la paranoia che va diffondendosi tra i parlamentari, timorosi di tutto e di tutti. In questi casi l’arroccamento e l’irrigidimento sono la prima istintiva reazione. Intorno a loro si agita un mondo che li invita alla flessibilità e a cercare intese col Pd nel nome della comune avversione a Berlusconi: sarebbe strano se Grillo sacrificasse la trasversalità del movimento a questa unica esigenza.

La linea di Berlusconi è di apertura al centrosinistra ben oltre il limite che il suo elettorato possa apprezzare. L’ansia di rimanere in gioco, e appunto di non concedere spazio a sante alleanze contro di lui, spinge Berlusconi a disponibilità mai ascoltate prima. La domanda è: pensando a quali scambi (il Quirinale), e fino a che punto? Fino al punto di accettare leggi su giustizia e conflitto d’interessi considerate diaboliche?

Sì, perché – per venire al Pd – questo è il ciglio della sfida lanciata da Bersani. Il quale sopra ogni altra cosa vuole sbarcare in un’aula parlamentare e costringere tutti a esprimersi sul progetto di «cambiamento», come lo chiama.
Nel Pd si rimarca, come fosse un accento più forte che in passato, quel rivolgersi «a tutto il parlamento». È già finita la stagione del dialogo privilegiato con M5S. Ciò significa che Bersani, senza rinunciare ai suoi punti programmatici, accetta l’idea di poter trovare tra i banchi di Pdl e Lega i voti che gli servono a far partire il governo? Appare ora ardito pensarlo, però non può più essere considerata un’eresia. Anche perché se non volesse contemplare almeno l’eventualità, Bersani non riceverebbe oggi alcun incarico.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.