La leggenda della Rimonta

L’elettore di centrosinistra, si sa, è fragile. Ha sofferto molto, per molti anni. Come i tifosi di certe grandi e sfortunate squadre di calcio, porta la sconfitta dentro di sé e la rimira come un destino ineluttabile anche (anzi, soprattutto) nei momenti in cui le cose sembrano invece andare bene. È affetto da indicibili complessi d’inferiorità, figli di altrettanti complessi di superiorità. Infine, invariabilmente sotto elezioni dal ’94 in avanti, patisce la prepotente sicumera di Berlusconi, avversario mai attraversato dal dubbio, e tende a credere a qualsiasi cupa leggenda propalata da lui, o cresciuta nelle proprie stesse fila.
Come la leggenda della Rimonta.

La leggenda della Rimonta, accreditata da importante grande stampa e fin qui contrastata invano solo da Paolo Natale su Europa, sta scatenando una psicosi collettiva. Una corrente di pessimismo amplificata dall’inevitabile malignità giornalistica (ieri sul Fatto, per esempio) che non può essere arrestata dagli affollati comizi della campagna elettorale condotta praticamente in solitudine da Bersani (mica per altro: solo per colpa della dinamica nefasta del Porcellum, che non invoglia alla lotta i candidati messi nei posti sicuri).
La propaganda e la narrazione della Rimonta berlusconiana si basano sul precedente del 2006 e sul trend positivo di alcuni attuali sondaggi del Pdl: affiancando l’uno agli altri si pretende che di nuovo il centrodestra starebbe rimontando lo svantaggio e potrebbe chiudere a ridosso del pareggio, come riuscì a fare contro l’Unione di Prodi.

La realtà fattuale, se solo l’elettore di sinistra riuscisse a emanciparsi dai complessi e dall’irriducibile sfiducia verso se stesso e i propri leader, è che le due situazioni sono incomparabili. Innanzi tutto perché nel 2006 mai, nei tre mesi precedenti il voto, al centrosinistra venne accreditato un vantaggio come l’attuale, intorno ai 10-11 punti: le rilevazioni più ottimistiche per l’Unione a venti giorni dal 9 aprile 2006 non superavano i 4-5 punti di vantaggio.

In secondo luogo, cinque anni fa non c’erano né terze né quarte forze (infatti non entrò in parlamento nessuno che non fosse Unione o Cdl). Berlusconi non dovette competere con nessuno nel recupero dei suoi elettori delusi: adesso sta tentando la stessa identica operazione avendo però almeno due alternative in Monti e Grillo. Se accettiamo che da dicembre in poi un ritorno parziale di elettorato berlusconiano era prevedibile, che si è già verificato e che non sembra affatto un fenomeno travolgente, bisogna razionalmente concludere che all’inizio di febbraio l’unica incognita aperta è la stessa che si poneva due, tre o sei mesi fa: la dimensione della maggioranza del centrosinistra al senato.
Un problema politico di prima grandezza, senza dubbio. Ma non al punto da giustificare ondate di panico o mitologie eroiche.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.