Monti non è un passepartout

Almeno su un versante della crisi la dichiarazione di disponibilità fatta dal presidente del consiglio a New York non è stata molto d’aiuto: la chiarezza del quadro politico agli occhi degli elettori. Ma non è colpa di Mario Monti. È colpa di forze politiche e di leader che si muovono nella transizione come naufraghi, privi di un natante proprio e ansiosi di aggrapparsi a qualche nave di passaggio o almeno a uno scoglio per non affogare.

A quanto pare, di tutte le sigle esistenti solo tre sono sicure di comparire sulle prossime schede elettorali: Lega nord, M5S e Pd. Tutti gli altri (compresa Sel, perfino l’Idv ha accarezzato sogni di fusione) non hanno certezze. O perché aspettano la legge elettorale, o perché lavorano instancabilmente a nuove aggregazioni che non vedono mai la luce, o perché (è il caso dei berlusconiani) hanno il dubbio di non essere più sulla scena entro pochi mesi (certo non col simbolo Pdl). Vorrà dire qualcosa, questa asimmetria.

I democratici avranno pure un sacco di problemi e si sono arrecati tanti danni da sé ma, nonostante centinaia di annunci di scissioni imminenti e inevitabili, sono ancora lì: un partito tanto maturo da reggere perfino una competizione interna dall’esito non scontato. Non abbastanza forti da pretendere di governare da soli, ma indispensabili per qualsiasi soluzione. Allora quando si parla della continuità dell’agenda Monti, c’è una qualità diversa del dibattito interno ai partiti. Nel Pd è una schietta discussione di linea politica, con i “montiani” a battersi per scelte coerenti con le responsabilità assunte dal Pd nell’ultimo anno, anzi fin dalla sua fondazione.

Altrove, “Monti” più che una persona, un leader o un’agenda politica è la parola magica per traghettare se stessi e le proprie ambizioni, personali o di gruppo, dentro la prossima legislatura.
Pare ovvio che il presidente del consiglio non gradisca di farsi trattare così. E ieri non ha ritirato la propria disponibilità a rendersi utile al paese: semplicemente, si è dimesso anticipatamente dall’indesiderato incarico di passepartout.

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Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.