Montiani ovunque

Pier Luigi Bersani torna quello dell’intervista al Sole 24 Ore del 9 agosto. E mentre una parte dei suoi sostenitori continua a diffondere l’idea di un Pd destinato addirittura a capovolgere le politiche dei governi dell’Ulivo, il segretario saggiamente ribadisce che la sua proposta di governo sarà pienamente in quel solco, e di piena continuità con il lavoro di Monti, impegnandosi a migliorarne i risultati sul versante della crescita e della creazione di posti di lavoro.

Insomma, i ragazzi della nidiata – un po’ perché ci credono, un po’ perché pensano di dover pattugliare il fronte alla sinistra del Pd – sognano rovesciamenti di fase poco compatibili con la situazione internazionale e soprattutto con la forza presente e futura del Pd, oltre che con la sua cultura riformista. Bersani fa l’opposto, e all’indomani della promessa di continuità fatta da Mario Monti alla business community cerca di mettersi, come direbbe lui, «a bevuta pari» col premier.
Abbiamo capito che con questa doppia verità marceremo finché si potrà: fino alle primarie, poi forse fino alle elezioni, certo non oltre.
Il limite alle ambiguità non lo definisce Wall Street: lo stanno definendo in questi giorni i partner con i quali il Pd ha dichiarato solennemente di voler elaborare una comune strategia progressista di uscita dalla crisi.

La finanziaria da 37 miliardi di Hollande porta la pressione fiscale in Francia al 46 per cento, spostata sui ceti medio-alti ma con prelievi sulle pensioni, tagli alla sanità, sacrifici in vista per tutti: una manovra che piacerà al Fmi e poco promettente quanto alla creazione di nuova occupazione. Intanto la Cgt è sul piede di guerra contro la ratifica del fiscal compact.
In Germania esce vincente dalla selezione nella Spd un candidato Cancelliere addirittura ex ministro delle finanze della Merkel ai tempi del primo governo di larga coalizione. Steinbrück è l’erede diretto della Spd ultrariformista degli anni Novanta di Schröder: poveri giovani turchi italiani, la nemesi della Terza via arriva dal partito nel quale riponevano maggiori speranze.
In Gran Bretagna, Ed Miliband non la smette di avvertire i suoi: i tempi della spesa pubblica larga non torneranno mai più, ci sono vincoli fiscali mondiali che non possiamo violare.
Insomma, anche senza arrivare all’endorsement di Obama per Monti, la dura realtà macina tante frasi avventate. Rimettere mano alle riforme del lavoro e delle pensioni, addirittura cancellarle come pretende Vendola: promesse che si fanno sapendo di non poterle mai mantenere.

È rischioso pensare di poter vincere le primarie, né tanto meno le elezioni, su questa doppiezza. E nel momento in cui sia Bersani che Renzi si irrigidiscono nel sentir parlare di Monti bis, entrambi sanno che cosa c’è nel loro destino: conquistare consenso, voti, legittimazione democratica e infine una maggioranza politico-parlamentare per una proposta di governo di piena continuità con Monti (quindi senza Berlusconi né Grillo), guidata da un premier dello status di Monti.
Ai duellanti del Pd suona male la formula “Monti bis”? Si può capire: è difficile chiedere i voti alle primarie per mandare a palazzo Chigi una terza persona.
Infatti noi non li tortureremo con le formule. Con il concetto e con le scelte senza ambiguità, però, sì.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.