La distanza da Monti

Non è verosimile che vada in porto l’iniziativa di Pietro Ichino per una mozione parlamentare che impegni i tre partiti dell’attuale maggioranza a “traghettare” l’agenda Monti nella prossima legislatura. L’intento, suggerito da Francesco Giavazzi, è lodevole: impedire ai partiti di sbracare in campagna elettorale con promesse che o sono impossibili da mantenere, oppure implicano nuovi incontrollati ricorsi alla spesa pubblica.

Chiunque dotato di buon senso sa che la sovranità nazionale non può più spingersi – per nessuno e in particolare per l’Italia – fino a capovolgere le linee europee di rigore finanziario. Non foss’altro perché tutto lo sforzo di Mario Draghi nel suo braccio di ferro con la Bundesbank – per la salvezza nostra – si basa sulla premessa che i paesi i cui titoli pubblici potrebbero essere acquistati dalla Bce hanno irreversibilmente rinunciato alle politiche assistenziali.

Il confronto politico nazionale rivendica però le sue regole, e va rispettato. Non sarebbe sensato stilare fra avversari una sorta di preambolo alla campagna elettorale, per dichiarare piena convergenza sulle principali scelte politiche del dopo. Rischierebbe perfino di essere controproducente.

Va invece data fiducia, parlando di Pd, all’impegno esplicito assunto da Bersani e da altri (D’Alema a Reggio Emilia) a non scassare le riforme del governo Monti su pensioni e lavoro. Possono essere migliorate (lo stesso Monti intende farlo, per esempio sugli esodati), ma non stravolte nel senso richiesto da coloro i quali vi si sono tenacemente opposti: la Cgil, la Lega nord, Vendola e Di Pietro.

Questo è il vero problema politico di un partito che starà anche prendendo, nella persona del suo segretario, qualche distanza da Monti. Ma che non può prendere distanza da se stesso senza smarrire ogni credibilità. Arriverà il giorno in cui a Bersani verrà chiesto se per dodici mesi in Italia s’è fatta macelleria sociale, come dice Vendola (e quel giorno Vendola sarà nelle liste Pd), o se si è salvato il paese, come tra gli altri pensa il capo dello stato. La risposta varrà più d’una mozione parlamentare.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.