Le destre sconfitte da se stesse

Le destre di governo in Europa arretrano, perdono, vengono erose dalla protesta, dal disinteresse, dalla frammentazione partitica ed elettorale. Nulla di sorprendente, se si vuole: hanno governato per l’intero ultimo ciclo, il ciclo si sta rivelando una catastrofe epocale, paga chi si trova nella cabina di comando.
Ma per le sinistre che vincono (o possono vincere: come Hollande domani, il PD nelle amministrative, la Spd nello Schleswig-Holstein e nel Nord Reno-Westfalia) sarà importante capire bene di quale materia sono fatti questi risultati elettorali. Perché non è sempre materia di prima qualità. Anzi, per dirla tutta, somiglia in modo inquietante al concetto bersaniano di «vincere sulle macerie».

Il prepotente ritorno laburista nelle elezioni locali inglesi, se proiettato su scala nazionale, vorrebbe dire Ed Miliband a Downing street già oggi. A parte l’aleatorietà del dato (il mid-term ha già seminato amare illusioni in passato), non sono molto incoraggianti le componenti della sconfitta della coalizione di governo: affluenza bassissima, disaffezione concentrata nell’elettorato Tories, successo imprevisto del partito della destra anti-europeista UKIP.

Gli accostamenti sono sempre azzardati, ma è impossibile non cogliere il nesso con quanto è accaduto in Francia nel primo turno, col confuso quadro elettorale nei Länder tedeschi tra l’abbordaggio dei Piraten e l’eclissi liberale, con l’implosione del centrodestra italiano.

La destra si fa divorare da se stessa, infiacchita dai veleni che ha seminato negli anni rampanti. Le si rivoltano contro il populismo, la diffidenza verso l’Europa, qua e là anche la xenofobia e la demagogia contro “i poteri forti”. Dove le strutture partitiche sono più recenti e improvvisate, in Italia, la crisi politica della destra può coincidere col sostanziale auto-scioglimento delle sue formazioni.

Nei punti di maggiore solidità va poco meglio: il massimo delle aspirazioni della Merkel è una Grosse Koalition estesa, Cameron deve avvinghiarsi sempre di più all’innaturale e insipida coalizione coi LibDem, messi peggio di lui.

È importantissimo e incoraggiante che in questo quadro le sinistre rappresentino un fattore di stabilità, di garanzia, di tenuta al di là delle differenti posizioni. C’è una bella differenza, se per vincere Hollande può contare sul sostegno del moderato Bayrou mentre Sarkozy deve cercare di richiamare i voti usciti verso l’estremismo lepenista.

In generale, la crisi delle destre dovrebbe risospingere il centrosinistra europeo al centro della scena, che è anche centro politico dei rispettivi paesi e cuore dell’elettorato.

Ma ciò che è vero – e letale – per le destre, è vero anche per le sinistre.

Se vincono, lo fanno appunto fra le macerie di una crisi economica che subito s’è trasformata in crisi sociale e di valori. I progressisti non avanzano col proverbiale vento nelle proverbiali vele, bensì dentro e contro un turbine populista, antieuropeista e spesso antipolitico. È interessante poi che siano tutti accomunati da una apparente fragilità di leadership personali: un fattore di debolezza, forse però anche un antidoto rispetto alla tentazione di cercare scorciatoie nella prevalenza del leader.

Ecco, non farsi contagiare e anzi contrastare le tendenze che sono all’origine della crisi e che hanno già squassato le destre: questa è l’unica speranza per non trasformarsi rapidamente dai vincitori del momento nelle vittime di domani. Dappertutto si parla di crescita e occupazione, ma anche di ricostruzione morale, di nuova fiducia da conquistare presso i cittadini: parole alle quali dare senso concreto, prima che il vento della rabbia le disperda.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.