Chi non vuole riformare il sistema

La linea di resistenza scelta da Rosy Mauro fa saltare la favoletta, in realtà già fragile, di una Lega capace più degli altri di fare pulizia al proprio interno. L’avvento di Maroni, in queste condizioni, ha un valore simbolico e storico ma certo non garantisce alcun rilancio. E comunque non saprei se il ritorno al partito “delle origini” sarebbe un fatto auspicabile, ricordando che cos’era la Lega, appunto, “delle origini”: si può pensare che Berlusconi negli anni successivi l’abbia corrotta, ma si potrebbe anche dire – questa è la tesi del Cavaliere – che Berlusconi l’abbia costretta dentro un quadro di compatibilità moderandone gli eccessi: le due letture possono benissimo andare insieme.

In ogni caso, l’inconsistenza strategica di Maroni si aggiunge (come dimostra l’oltranzismo della Mauro) alla consistenza numerica e politica dei leghisti che dovrebbero essere epurati: troppi e troppo importanti. I due fattori azzoppano la cavalcata dei barbari alla riconquista della purezza originaria. Il dramma dunque non avrà rapida soluzione. E questo è pessimo non solo per la Lega, ma per l’intero sistema dei partiti.

L’offensiva del discredito vuole bloccare l’indispensabile (e tardivo) tentativo di riforma del finanziamento dei partiti proposto da Bersani, Alfano e Casini prima ancora che diventi proposta di legge. L’hanno già bocciato le opposizioni e i grandi giornali d’opinione: le prime per un dubbio calcolo elettoralistico; i secondi perché animati da una furia demolitrice che pretende di interpretare gli umori degli italiani, ignora i dati oggettivi (Panebianco sul Corriere cita l’onere del finanziamento dei partiti per i contribuenti, ignorando forse che questo non raggiunge i 5 euro pro capite annui) e non offre alternative che non siano la fuga in uno schema (sconosciuto in Europa) di puro finanziamento privato. Ognuno può riscrivere la storia italiana degli ultimi vent’anni immaginando come sarebbe andata, se le opposizioni all’uomo più ricco e influente del paese non avessero avuto finanziamenti pubblici.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.