Le cose stupide di un giorno a Roma

Ieri la polizia ha arrestato un migliaio di giovani manifestanti, in via preventiva, prima ancora che si muovessero dal luogo dove si erano concentrati. Erano militanti di estrema destra, pronti ad attaccare un corteo avversario. Accadeva a Mosca, però, nei pressi della stazione Kievsky.
Nelle stesse ore il centro di un’altra capitale europea veniva devastato da gruppi di nerovestiti, che si sono accaniti selvaggiamente contro un ex ministro dei trasporti conservatore, appena fuori il parlamento. Per fortuna il ministro non era Lunardi e la capitale non era Roma, bensì Atene.
Bisogna vivere in un regime con antiche tradizioni di repressione poliziesca, putinianamente aggiornate, per avere qualche probabilità di evitare la violenza giovanile, politica e non. In democrazia, e per di più in una stagione di crisi economica e di incertezza politica, una dose di violenza di strada va messa nel conto, attrezzandosi per arginarla, minimizzandone i danni e tenendone lontani quanti più ragazzi è possibile.

Questo, non inedito, è il problema dell’Italia di oggi. Di martedì scorso e di lunedì prossimo, quando in senato tornerà la riforma Gelmini e intorno al senato, probabilmente, torneranno gli studenti che la osteggiano.
Non è produttivo, se non di ulteriori polveroni, costruire intorno a incidenti come quelli di Roma misteriose dietrologie su infiltrati, agenti in borghese che accendono gli scontri, provocatori incappucciati. Non mi stupisce che nelle ultime ventiquattr’ore la rete – il Post ha messo le cose a posto oggi – sia impazzita intorno alla giacca a vento beige di un sedicenne dai comportamenti totalmente irrazionali. Mi stupisce un po’ di più che il Pd si sia fatto megafono parlamentare di questa isteria, a dimostrazione che se i movimenti non sono più quelli di una volta, neanche i grandi partiti hanno più meccanismi di verifica e controllo.
Ho paura che stavolta la trasposizione sul piano politico dei sospetti internettiani possa giocare un brutto scherzo alla sinistra, ma magari mi preoccupo troppo. Da Maroni, il Pd dovrebbe farsi spiegare piuttosto che cosa ha mandato in tilt l’apparato di sicurezza della questura di Roma, esponendo gli agenti a violenze evitabili e il centro della città a una discreta devastazione (almeno degli addobbi natalizi: ho trovato esilarante che il sindaco Alemanno abbia trovato il modo, in questa occasione, di litigare con l’associazione dei commercianti sull’entità dei danni subiti. Davvero neanche le strumentalizzazioni della destra sono più quelle di una volta).

L’altro pomeriggio ho trascorso due ore nelle strade del Tridente barocco, tra il Corso, piazza del Popolo e il lungotevere, e non credevo a ciò che vedevo: i drappelli di finanzieri (soprattutto), carabinieri e celerini correvano da un incrocio all’altro senza logica, senza coordinamento, travolti da un’isteria pericolosa, sempre sul punto di farsi attrarre in una trappola o di andare a sbattere gli uni contro gli altri (è successo: li ho visti io). E questo in mezzo a una folla dispersa di veri ragazzi, che se indossavano caschi e si coprivano la faccia non erano per questo meno ragazzi, giovanissimi, a loro volta assolutamente inesperti (non dico che non ci fossero gli esperti: io di sicuro non ne ho visto neanche uno) ma incredibilmente determinati a rimanere in zona, andare e tornare, colpire qualcosa o qualcuno, circondati da folle non solo di giornalisti ma di passanti a loro volta intimoriti di nulla, solo ansiosi di avvicinarsi il più possibile ai blindati in fiamme per scattare memorabili foto con i telefonini.
Il prefetto di Roma ha parlato del problema di domare una rivolta che si coordina via sms e Facebook, fra testa e coda del corteo. Non so se sappia di cosa parla. Certo il social network di piazza del Popolo martedì era bello affollato. Potrebbero studiare un’estensione di FourSquare per eventi del genere.

Chiudo su due annotazioni.
Primo: la polizia ha picchiato, per quello che s’è visto, tenendosi al livello dello scontro. Né poco né troppo. Mi ha colpito moltissimo ascoltare un capitano della Finanza urlare ai suoi uomini, mentre partivano in macchina con due fermati dentro: “Non li sfiorate neanche! E se qualche collega, carabinieri o polizia, ve li chiede, voi mi chiamate e mi date i nomi dei colleghi”. Che dire? Bolzaneto non è passato invano, almeno in questo caso (il che mi ricorda, a proposito dei miti sulle infiltrazioni, che neanche a Genova, e dico Genova, c’erano infiltrati: tutti fecero di tutto per conto proprio).
Infine, Giuliano Ferrara, anche lui, benedetto reduce: se lo facesse dire da chi c’era, che stavolta con le devastazioni gli «attempati» di cui scriveva stamattina sul Foglio non c’entrano, perché quelli di Roma saranno stati violenti ma erano erano tutti violenti giovani, non reincarnazioni di Oreste Scalzone. La verità è che prendersela con la sinistra politica giacobina e con la borghesia giornalistica fomentatrice, come fa Ferrara, sarà comodo a lui ma è stupido, esattamente come tentare di smascherare gli inesistenti infiltrati.
Sono entrambe reazioni consolatorie, che regalano spiegazioni pigre, e non fanno capire niente della scorza di violenta indifferenza e baldanza di cui sono fatti i ragazzi d’Europa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.