Con questi musicisti qui non vinceremo mai

Sul Guardian Jon Savage scrive una cosa giustissima: ogni movimento di protesta per dirsi tale e risultare efficace deve avere una colonna sonora adeguata. E fa l’esempio di The Queen is dead degli Smiths, uscito nel 1986 quando l’Inghilterra era alla fine del secondo mandato thatcheriano. Quella canzone, quel testo, scrive Savage, con la sua esplicita critica alla monarchia – pilastro su quale si fonda il sistema sociale inglese diviso in classi – rappresentano e danno voce al moto di rabbia di chi sente – e in molti casi è – un outsider, uno fuori dal sistema, uno per il quale non c’è futuro. La forza della canzone – dice ancora Savage – sta anche nella vicinanza tra chi canta e chi ascolta. Gli Smiths sanno quello di cui stanno parlando: riuscivano  a parlare ai giovani perché parlavano di loro stessi. Chi va in strada a protestare si riconosce in quelle parole e in quella musica e sente, nel profondo, che chi sta sul palco non sta mentendo: sono dei nostri, sono come noi. Ora, si potrebbero fare tante considerazioni, dire che questo sentirsi rappresentati dalle parole di qualcun altro è esattamente anche uno dei compiti che dovrebbe avere la politica e chi la pratica. Oppure riflettere sulle ultime parole dell’articolo di Savage, sul rispetto che ha per i giovani, su come riconosce lucidamente che no, non sono solo canzonette – così come chi protesta e rischia di prendersi delle manganellate non può essere liquidato semplicemente come un fancazzista che non ha voglia di studiare – perché da che mondo è mondo la musica pop ha un enorme potere sociale e emotivo, un potere che si può trasformare in forza nel momento in cui è condiviso da milioni. Si potrebbe dire questo, oppure si potrebbe semplicemente osservare che con Biagio Antonacci, con Vasco Rossi, con Ligabue, con  Alessandra Amoruso, con Valerio Scanu, con Neffa, con Fabri Fibra e insomma con tutti quelli che vendono dischi e scalano le classifiche in questo paese (ma neanche con Caparezza, con Carmen Consoli, con Capossela, con i Modena City Rambles: quelli che affollano i concertoni del primo maggio) be’, con questi musicisti qui non solo non  vinceremo mai, ma non possiamo neanche sperare in una colonna sonora adatta alla rivoluzione. (PS E sì, ho volutamente escluso Jovanotti. Lui ce la potrebbe fare a farci vincere. Ma non come musicista: come politico, il giorno in cui decidesse di candidarsi)

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.