Il teorema Kate Moss applicato alla protesta studentesca

Quello che da sempre rende le grandi dive tali – cioè dive – è il mutismo.  O, almeno, la parsimonia con cui rilasciano le interviste, la scarsità delle dichiarazioni, il pudore e la ritrosia con cui si danno in pasto alla stampa. Valeva nel passato, quando di dive vere ce ne erano parecchie, vale ancora di più oggi, che di mezze calzette professioniste è pieno il mondo e delle loro dichiarazioni sono pieni i giornali. Il principio poi è semplice: meno cose si dicono, meno proclami si fanno, minore è la possibilità di dire cazzate, o banalità assortite. Prendete Kate Moss, giusto per rimanere ai giorni nostri. Moss è una che ha costruito la propria carriera sull’essere straordinariamente figa. E muta. Perché a una modella questo è richiesto: di essere bella, mica di essere un bravo oratore, né di cercare di sembrarlo. Pensavo questo leggendo e guardando in televisione le interviste rilasciate in questi giorni dai leader della protesta studentesca. Ragazzi che hanno tutto il diritto di andare per strada a manifestare e anzi, benissimo che lo facciamo, per il principio secondo il quale uno studente che scende in piazza a fare casino statisticamente diventa un adulto migliore di uno che decide di rimanere in casa al calduccio. Ragazzi la cui forza sta, appunto, nel loro essere giovani. Ragazzi a cui se proprio si deve rimproverare qualcosa, be’ allora sono le troppe interviste, la presenza in televisione e sui giornali, il desiderio di legittimazione attraverso mezzi che non sono i loro, quando invece la legittimazione ce l’hanno già: è nel fisiologico desiderio di ribellione dato dalla loro data di nascita. Non c’è bisogno di molte parole quando sei giovane e hai voglia di fare casino contro il sistema. Fallo, è tuo diritto. Ma tieniti lontano dai piagnistei, dalle banalità fatte passare per rivendicazioni, dall’ideologismo espresso con frasi fatte. Essere giovani in fondo ha gli stessi vantaggi dell’essere molto belli: non bisogna per forza dimostrare di essere anche intelligenti. Non subito, almeno.

Simona Siri

Vive a New York con un marito e un cane. Fa la giornalista e ha scritto due libri: Lamento di una maggiorata (Tea, 2012) e Vogliamo la favola (Tea, 2013). Segue la politica americana, il cinema e le serie tv. Ama molto l'Italia e gli italiani, ma l'ha capito solo quando si è trasferita negli Usa.