Neanderthal e sicurezza digitale

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Immaginate di essere uomini e donne delle caverne il giorno che qualcuno inventa la clava. Fino a quel giorno ve la cavavate a cazzotti e sassate, ma all’improvviso è apparso qualcosa capace di moltiplicare la potenza fisica di amici e avversari.

Qualcuno di voi apprezzerà: con la clava è più semplice abbattere le tigri dai denti a sciabola; qualcuno diffiderà, ma un po’ alla volta la novità prenderà piede. E cominceranno i problemi, perché all’improvviso i più stronzi avranno la possibilità di aprirvi la testa a tradimento. E non c’è modo di impedirlo. Non con gli inviti alla calma, non con i divieti, perché qualcuno intenzionato a usare la clava contro di voi invece che sulla legittima selvaggina ci sarà sempre. Senza contare quelli che si faranno male da soli perché incapaci di usare il nuovo mezzo.

L’unico modo per salvare le corna sarà quello di adattarsi al nuovo ambiente, e dovrete farlo da soli perché i più vecchi ne sanno meno di voi. Imparerete a temere quelli che si avvicinano con un randello in mano, a guardarvi le spalle, a munirvi, se necessario, di un randello ancora più grosso o di un casco fabbricato con le noci di cocco.

Il vostro mondo è cambiato, e voi dovrete cambiare con lui.

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Facciamo un salto di qualche migliaio di anni. Intorno alla fine degli anni Ottanta del XX secolo, arrivò anche in Italia quella che potremmo chiamare la rivoluzione Cyberpunk. Spinti dall’immaginazione di autori come William Gibson e Bruce Sterling, molti di noi cominciarono a sognare un mondo connesso, il cyberspazio. Sapevamo che questo cyberspazio sarebbe finito in mano alle grandi corporazioni, ma immaginavamo anche che ci sarebbe stato spazio per nuove comunità ideali, per lo scambio libero di informazioni, per organizzare lotte per i nuovi diritti, per costruire nuove forme di intrattenimento.

Nessuno di noi però, aveva previsto quanto il nostro ecosistema sarebbe davvero cambiato. Pontificavamo sulla realtà virtuale e la telepresenza, ma non potevamo concepire le potenzialità della “diretta costante via streaming”, dove ognuno di noi avrebbe costruito il proprio Truman Show. Nemmeno ci rendevamo conto che un’informazione lanciata sull’Internet del prossimo futuro sarebbe rimasta in circolazione per l’eternità. Concetti come clickbait, revenge porn, trolling, spam – ovvero le forme cui ormai siamo abituati di imbroglio e violenza digitale – non erano nemmeno concepibili. E se le concepivamo, immaginavamo che la comunità digitale sarebbe stata in grado di autoregolarsi.

Un’idiozia, basata su un concetto “classista” di Internet. La rete sarebbe stata aperta a tutti, ma istintivamente pensavamo che solo i più intelligenti o motivati l’avrebbero utilizzata, e che i pochi malvagi e gli stupidi sarebbero stati isolati dai tanti, buoni cowboy del cyberspazio.

Come poi sia andata è davanti agli occhi di tutti.

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Il nostro nuovo ecosistema digitale ha molto in comune con il mondo “fisico”, ma non è sovrapponibile. Continuiamo a pensare di avere in tasca dei gadget nuovi, ma in realtà il nostro corpo biologico è diventato l’estensione di un’identità digitale, spesso più importante della precedente nell’autopromozione o in bazzecole come la ricerca del lavoro o di un partner. La rete non solo si muove più velocemente e in modo più esteso di quanto possiamo fare calcando la nuda terra, ma possiede altre scale di valori, altre percezioni, altri riti e credenze, star system, agorà e di commerci.

La rete, infatti, moltiplica e diffonde contenuti nativi che “fuori” non avrebbero cittadinanza, basti pensare agli youtuber con milioni di follower per video dove si asciugano i capelli; la rete ha costruito nuove forme di corteggiamento fornendoci nel contempo un immenso database di potenziali amanti e amici; la rete permette l’anonimato e le identità multiple; la rete è indispensabile per la cessione di beni immateriali, ora che la moneta si è fatta elettronica.

Naturalmente, tutto questo è arrivato a un prezzo, esattamente come la clava nel mondo flintstoniano di cui sopra.

Il nuovo ecosistema – la nuova noosfera come dice qualcuno – contiene nuove trappole, nuovi vicoli bui, nuovi comportamenti imprudenti o autolesionisti, nuove religioni, nuovi guru, che prima non erano nemmeno concepibili e ai quali non siamo abituati. Per questo continueremo a farci del male ancora a lungo, lì dentro. Continueremo a credere alle bufale, a subire violenze e ricatti, a essere derubati e spiati, mentre leggi e strumenti software serviranno a poco. Perché quando un ecosistema cambia, quello che ti salva è solo lo sviluppo di nuove abitudini e nuovi sensi.

Sulle prese della corrente non c’è scritto “Non infilarci il dito che prendi la scossa”, così come sulle finestre non c’è scritto “Non buttarti che ti fai male”. Sono elementi di sopravvivenza primaria che ci arrivano con il latte materno, così come la scimmia nuda ha appreso che il fuoco brucia e l’acqua annega. Ci siamo adattati e siamo sopravvissuti. E ci adatteremo anche al nuovo mondo, o meglio, si adatteranno i nostri figli e nipoti, perché l’evoluzione è una faccenda lenta.

Loro, quelli che verranno, sapranno istintivamente di non dover mandare selfie porno a persone non fidate perché finirebbero in circolazione, oppure se ne fregheranno perché lo fanno tutti. Eviteranno di cliccare link sospetti, esattamente come noi abbiamo imparato a non cogliere funghi a pallini rossi e bianchi. Non metteranno webcam in casa (o quello che sarà) senza un firewall, cripteranno i messaggi, troveranno le informazioni corrette nel mare della merda circolante, per istinto, esattamente come i loro progenitori sapevano distinguere i venditori di veleno di serpente dai medici, perché chi non ci riusciva semplicemente moriva e non trasmetteva i suoi geni.

Purtroppo, noi che siamo nel mezzo del cambiamento digitale non abbiamo mappe per muoverci. Pretendiamo testate giornalistiche affidabili, autorità, garanti e nuove leggi sperando che ci proteggano, non volendo accettare che si tratta di un residuo del passato predigitale. Falliremo, spesso, e ci lasceremo le penne. Rovineremo le nostre carriere per un tweet o una foto pubblicata con leggerezza, sceglieremo stili di vita insalubri per esserci informati nel posto sbagliato, voteremo degli imbecilli e dei truffatori, che sono sempre i primi ad adattarsi alle mutate condizioni. E i nostri cadaveri digitali serviranno da monito per chi verrà dopo di noi. Se ci sembra impossibile, se oggi chiediamo nuove leggi e nuovi cyberpoliziotti è perché, come i Neanderthal, abbiamo fatto il nostro tempo.

E ci rifiutiamo di ammetterlo.

 

Sandrone Dazieri

Scrive thriller per la carta stampata e la televisione, cura qualche volta anche libri altrui. Prima faceva il cuoco. Il suo ultimo romanzo è L'Angelo (Mondadori). @sandronedazieri su Twitter.