Uno che faceva il mio lavoro

Dato che non scrivo sul blog da qualche mese, mi sentivo in colpa (sono fatto così).
Per cui mi ero preparato qualche idea di post, e ieri volevo scrivere una cosa senza dubbio utilissima e pertinentissima sul fatto che sui forum di fumetti non si può più discutere che c’è sempre qualcuno che si arrabbia, protesta e magari ti insulta. In uno status altrettanto fondamentale, utile e pertinente su Facebook, qualche giorno fa, dicevo anche che arrabbiarsi così per delle storie a fumetti è assurdo, “manco fossero guerre di religione”.

Poi sono arrivate le notizie di oggi, e mi sono sentito un idiota perso nel suo giardinetto mediatico mentre il mondo cambia il suo asse. Ora i pensieri, le reazioni di pancia, gli insulti, la paura si contendono spazio nella mia testa e in queste righe. Provo a mettere tutto in ordine.

Da quando scrivo fumetti e non solo, il mio scopo è sempre stato far ridere la gente. È una cosa che ho sempre voluto fare, fin da piccolo. Negli anni ho invidiato chi lo fa in prima persona. Ho lavorato con tanti amici e colleghi, tra fumettisti e comici, per aiutarli a far ridere (o almeno, così spero). Ho studiato chi fa ridere, e come ci riesce (risposta: non lo so. È questo il bello). E ho provato, nel mio piccolo, a far ridere anch’io. Non c’è nulla di più emozionante di essere in un cinema, o in un teatro, e sentire qualcuno che ride per una stupidaggine che hai scritto tu. Mi sembra un buon modo di passare la propria vita.

Di conseguenza, ho sempre pensato che il mio fosse un lavoro win-­win: io mi diverto, gli altri si divertono, nella maggior parte dei casi si parla di questioni che non saranno mai di vita o di morte. Se una gag di Paperino non vi fa ridere, a me un po’ dispiace, ma nel grande schema delle cose non è un grosso problema.

Oggi, invece, due terroristi hanno ammazzato, tra gli altri, Wolinski, che avevo scoperto su un libro di francese alle medie e che aveva quasi ottant’anni.
Hanno ammazzato uno che faceva il mio lavoro.
Uno che si alzava e si metteva a disegnare. Che inventava gag. Che probabilmente rideva per primo delle cose che inventava. Uno che di lavoro faceva ridere la gente, e quindi la faceva anche pensare. Un fumettista.

(Mentre scrivo, cerco disperatamente di evitare le reazioni di pancia e le banalità. Mi verranno lo stesso. Abbiate pazienza: sto cercando di gestire una cosa che non riesco a capire, ad accettare, a processare nel mio cervello ingenuo.)

L’hanno ammazzato perché ha passato la vita a far ridere chi lo leggeva.
L’hanno ammazzato perché a lui, e ai suoi colleghi, la religione faceva ridere.

Io ho le mie opinioni e il mio credo, ma ho sempre fatto battute e battutacce sulla religione. Delle religioni in generale, mi ha sempre colpito la loro scarsa capacità di piegarsi all’umorismo.
Perché, poi?
Negli anni, mi sono fatto la mia opinione al proposito.
Per far ridere, devi essere cattivo. Almeno un po’. Per far ridere devi vedere tutto da più punti di vista, trovare la miseria umana che c’è in ognuno, anche se ammantata di sacralità: vedere il lato patetico di ogni cosa.
Per far ridere, non devi prenderti sul serio tu per primo.

Le religioni, invece, vogliono che tu sia buono. Che certe cose non debbano essere toccate. Che tu stesso prenda la cosa sul serio. O meglio, certe parti di certe religioni vogliono che tu sia buono, eccetera. Cosa che a me ha sempre fatto ridere. Come tutti, ho le mie idee su cosa fa ridere e cosa no. Ho anche dei limiti: ma sono i miei limiti, e non ho mai cercato di impedire ad altri di ridere di cose che a me non fanno ridere per niente. Criticarle, sì; ma i miei limiti valgono per me, non per gli altri. Se una cosa non ti fa ridere, pace. Ma se iniziamo a decidere su cosa si può ridere e su cosa no, è la fine.

Potrei fare una tonnellata di discorsi triti, ritriti, stratriti sulla libertà di espressione. Potrei lanciarmi in utilissime analisi del fondamentalismo religioso. Ma il punto è che bisogna difendere chi ci fa ridere, soprattutto quando non ci piace, perché il diritto di ridere di TUTTO è importante. Si può essere religiosi e riderne, pensa un po’. La nostra società ce lo permette.
Ecco: l’unica cosa da difendere è quel permette. È da quel permette che dipende tutto. È quel permette che dobbiamo difendere da chi spara a un fumettista di ottant’anni. Come?

Pubblichiamo cose che ci fanno ridere; o cose che non ci fanno ridere e con le quali non siamo d’accordo, ma che fanno ridere altri. Difendiamo il diritto a pubblicare cose che fanno ridere, anche se possono offendere una qualunque religione. E se una qualunque religione ha un problema con tutto questo, andiamo avanti lo stesso. Continuiamo a credere a quello che vogliamo (o a non credere), ma dentro di noi: se il nostro credo vale qualcosa, non si farà certo spaventare da uno sfottò, da una pernacchia, da una battuta feroce.

Continuiamo a difendere la libertà di ridere di quello che ci pare. Ma anche la libertà di amare chi ci pare, come ci pare. Di scrivere cose agitate e impulsive come questo post e stupidaggini terribili (come probabilmente questo post). Di parlarne quanto ci pare, nei termini che preferiamo. Di morire come e quando ci pare, tra le altre cose. E di pensare che dopo quella morte ci sia quello che preferiamo. Quel permette copre anche tutto questo, ed è intrinsecamente legato a quella libertà di ridere.

Difendiamo la nostra imperfezione, la nostra distanza da ideali più o meno divini, la nostra capacità di ridere e quindi di dubitare ­ di tutto.
Difendiamo noi stessi.
Ridendo.
Ad esempio, guardando il finale di un film che è un feroce atto di accusa verso tutti i fondamentalismi.
È una commedia, scritta e interpretata da gente che sa far ridere tantissimo.

Roberto Gagnor

Roberto Gagnor (Torino, 1977) scrive fumetti per Topolino dal 2003. È sceneggiatore e autore televisivo e radiofonico. Ha vinto il concorso Talenti in Corto con il suo ultimo cortometraggio, Il Numero di Sharon. Insegna sceneggiatura all’ICMA di Busto Arsizio e all'Accademia 09 di Milano.