Secchione and proud of it

Sono in vacanza e faccio colazione tardi, tipo alle nove e mezza, con annesso senso di colpa (dialogo-tipo nella mia testa: Perché non lavori? Perché sono in vacanza. Ah già, scusa). Per cui guardo le televendite di Mastrota oppure Unomattina, che in questi giorni è naturalmente pieno di servizi e ospiti sulle Olimpiadi presenti e passate. Oggi, ad esempio, la conduttrice intervista Daniele Masala, pentatleta e campione olimpico nel 1984: ricordo il nome, torno agli anni ‘80 e per colazione mangio madeleines.

A un certo punto la conduttrice chiede a Masala: “Ma lei, quando ha vinto così tanto, si sentiva secchione o predestinato?” E lui: “No, secchione no, oserei dire predestinato”. Poco dopo arriva anche Caprarica in collegamento da Londra e inizia una discussione tra lui e Italo Cucci sugli sport più o meno assurdi ammessi alle Olimpiadi: perché il rugby no e il badminton e il curling sì? E allora Masala, tranquillamente, spiega che il badminton è alle Olimpiadi perché è molto giocato in Asia, 50 milioni di praticanti, ed è lo sport nazionale dell’Indonesia; e che il curling è antichissimo. E tutti: “Ah, visto che è secchione?”

Insomma, la conduttrice e gli altri giornalisti trovano qualcuno che ne sa più di loro. Non gli dicono “bravo, grazie, non lo sapevamo”. Gli danno del secchione. Va bene, lo dicono scherzosamente, ma il succo è quello. Forse bisognerebbe spiegare alla TV italiana (ma non solo) che non c’è niente di male a non sapere qualcosa e ad avere qualcuno che te la spiega. Invece no: “Secchione”. Una parola che sottintende un agghiacciante universo di valori. Non sai qualcosa? Tranquillo, pure noi. La sai? Ne sai tante? Vergognati, perché non sei come gli altri. Ma io quelle cose non le sapevo, sul badminton e sul curling. Quindi mi piace che qualcuno me le spieghi. Quel qualcuno è un secchione? Può darsi. Anzi: è secchione? Benissimo.

La reazione dei conduttori di Unomattina, in fondo, è la stessa che avevano i miei compagni alle medie quando qualcuno ne sapeva più di loro. E fin lì va bene, a dodici anni ci sta. Il bello (anzi, il terribile) è che gli insegnanti, alle medie, non prendevano le parti del secchione. Prendevano le parti degli altri. Non era bello, secondo loro, offendere chi non sapeva certe cose spiegandole. Facendo così, però, implicavano che era accettabile offendere chi le sapeva (poi uno si chiede il perché del bullismo). Certo, a dare una patina di antipatia al secchione contribuisce spesso una certa sua petulanza e presunzione. E io, a 12 anni, ero secchione, petulante e presuntuoso. Forse lo sono ancora, se scrivo post come questi. Ma il punto è un altro.

Il punto è che abbiamo bisogno di più secchioni, e non solo in TV. Gente che ne sa più di noi e che ce lo dice. Anche brutalmente. E noi dobbiamo imparare ad ascoltare. Ne sa più di noi? Ottimo. Perché c’è già un sacco di gente che ne sa di meno e ne va fierissima. I secchioni sono importanti. Anche se sono antipatici e magari – altra accusa al secchione – noiosi. Del resto, abbiamo un primo ministro noiosissimo. Uno che dice: faccio questo, questo e quest’altro. Questo non è facile, questo non sarà facile, quell’altra cosa è impossibile, quell’altra invece si farà, tranquilli. Un primo ministro professore e noioso. Un secchione, insomma. Però, guarda caso, all’estero si fidano del secchione.

Un mio amico dice che è bellissimo avere politici noiosi che però fanno qualcosa. E io la penso come lui. Politici secchioni. Ma anche giornalisti, conduttori, funzionari statali secchioni. Perché, come alle medie, il compagno che scoreggia e mette la puntina sotto la sedia del professore sarà simpaticissimo e per nulla secchione. Ma forse non è il più adatto a far andare bene le cose.

Roberto Gagnor

Roberto Gagnor (Torino, 1977) scrive fumetti per Topolino dal 2003. È sceneggiatore e autore televisivo e radiofonico. Ha vinto il concorso Talenti in Corto con il suo ultimo cortometraggio, Il Numero di Sharon. Insegna sceneggiatura all’ICMA di Busto Arsizio e all'Accademia 09 di Milano.