La speranza di migliorare la politica con la rete [dialogo non immaginario su wikitalia]

nei giorni scorsi in tanti mi hanno chiesto cosa fosse questa wikitalia di cui ero divenuto presidente. quello che segue è un dialogo fra i tanti che ho avuto nel provare a rispondere su chi siamo, da dove veniamo e dove vorremmo arrivare.

– Sono diventato presidente.
– Ah sì, e di che?
wikitalia
– Wikiche?
– wikitalia, con la minuscola.
– E cos’è wikitalia?
– Già, cos’è wikitalia? Provo a rispondere. Prima definizione. E’ una cosa che vuole contribuire a migliorare la qualità della politica attraverso la rete.
– Alt! L’hai sentito Napolitano l’altro giorno a Bologna? Ha detto: la rete non può sostituirsi ai partiti. Parole sante, finalmente!
– Infatti non si tratta di sostituirsi a nulla, ma di spalancare le porte e le finestre di quella casa chiusa che è la politica in Italia con questi partiti.
– E come si fa? Con la rivoluzione? Non ti capisco mica.
– Con una associazione, una associazione di persone unite da alcuni valori e da un obiettivo che si chiama Open Government.
– Parla italiano, sennò i lettori del Post si arrabbiano, giustamente. E ti sfottono. Lo farei anche io del resto.
– D’accordo, ma è davvero difficile tradurre in una o due parole Open Government. Io capisco che non dobbiamo esagerare con gli inglesismi, ma nemmeno fare come i francesi che chiamano i computer “ordinatori”, no?
– No, una frase italiana esiste sempre, e se mi spieghi cos’è questo Open coso, ti dico io come va tradotto.
– Allora l’Open Government è un governo che, utilizzando bene gli strumenti della rete, diventa trasparente, collaborativo, partecipativo. Un governo open non ha segreti per i suoi cittadini, mette in rete i dati pubblici non solo per trasparenza ma anche per favorire lo sviluppo di applicazioni civiche, e consente a tutti di partecipare alla vita pubblica in vari modi, sia segnalando piccoli problemi, come le buche stradali, sia proponendo soluzioni su temi complessi, se qualcuno è in grado di farlo.
– Questa cosa non esiste: è solo teoria.
– Non è vero, esiste. Ci sono decine di paesi che stanno sperimentando questa strada con qualche fallimento a volte, ma anche con applicazioni di grande successo. Un precursore è stata l’esperienza inglese di MySociety, prima con la applicazione Fixmystreet e poi con le petizioni online. Ma il mio modello è codeforamerica.
– Il solito americanista.
– No, guarda, poteva anche chiamarsi codeforzimbawe e sarebbe stato lo stesso. Tra l’altro in questo momento forse il paese più avanzato sul tema non sono gli Stati Uniti ma il Brasile dove i cittadini hanno strumenti in rete per partecipare alla stesura delle leggi. Ma non ci crederai: persino in Russia stanno sperimentando qualcosa di simile.
– Non ci credo, infatti, conoscendo Putin.
– In effetti qualche dubbio sulla Russia è venuto anche a me. Ma l’idea che alla stesura delle leggi possano partecipare i cittadini che hanno voglia e competenza si sta facendo largo anche nell’Unione Europea. E il 18 aprile a Brasilia si terrà il primo summit mondiale della Open Government Partnership: c’è anche l’Italia.
– Non oso pensare a una cosa simile in Italia: le leggi scritte dai cittadini, ne verrebbero fuori dei mostri giuridici.
– Guarda: non peggio di certe leggi mostruose approvate negli anni recenti. Ma comunque wikitalia, come idea originaria, si ispira ad altro: te l’ho detto, si ispira a codeforamerica. Vai sul loro sito se hai tempo. E’ una organizzazione, promossa da una giovane donna di notevole grinta, Jennifer Pahlka, che ha aggregato sviluppatori, guru digitali, civic hackers attorno a un concetto semplicissimo. Lo possono capire tutti.
– Prova.
– La crisi della finanza mondiale sta avendo un impatto tremendo sulla finanza locale, quella delle città, che sono strangolate dai tagli.
– Questo effettivamente lo sanno tutti. E voi che fate: gli date i soldi perduti?
– No, gli diamo una strada per l’efficienza. Strumenti per prendere decisioni politiche migliori: più trasparenti e condivise. Vuol dire meno corruzione, meno incompetenza, meno sprechi.

– E questi strumenti che roba sono?
– Aspetta che ti spiego come funziona codeforamerica. Sono partiti un paio di anni fa. Hanno scelto alcune città e le hanno adottate fornendo loro strumenti per fare l’open gov. Ovviamente non basta buttare lì due applicazioni per cambiare la qualità della politica di una città: e quindi alle città affiliate hanno assegnato anche un paio di civic hackers – scelti con una call pubblica e retribuiti – che per un anno hanno seguito l’andamento del progetto. La cosa sta avendo un notevole successo e qualche mese fa codeforamerica ha lanciato civiccommons.org, un marketplace di applicazioni civiche.
– Marketplace, ovvero un mercato. Tutto si può dire in italiano, volendo…
– Ok. Intendevo un posto dove tutti quelli che sviluppano applicazioni civiche, le possono caricare e verificare quale città le sta utilizzando e come.
– Facciamo finta che questa cosa qui funzioni. Noi che c’entriamo?
– C’entriamo perché la scorsa estate mi sono innamorato di questa idea dell’Open Gov.
– Continua continua… Vedrai che poi ti trovo una traduzione adatta.
E’ successo per caso, così come accadono le cose migliori in rete. Un amico, il presidente dei GreenGeek Mauro Lattuada, mi ha taggato su Facebook un post di un certo Alberto Cottica su com’è amministrata Milano. Io l’ho letto e ho pensato: ammazza com’è scritto bene. Sono andato sul suo blog, l’ho studiato, ho visto che aveva scritto un libro dal titolo promettente, Wikicrazia, e l’ho invitato a pranzo. Qualche giorno dopo ci siamo visti, mi ha portato il libro, mi ha raccontato di essere stato uno dei fondatori dei Modena City Ramblers, tanti anni fa, e di essere in partenza per Strasburgo per seguire i suoi progetti wikicratici a livello europeo.
– Colpo di fulmine.
– Sfotti. Ma è così. Qualche giorno dopo sono andato a New York. Erano gli ultimi giorni da direttore di Wired e mi sono inviato al Personal Democracy Forum, l’evento più importante per analizzare il rapporto fra Internet e la politica. Qualche mese prima c’era stata la primavera araba e volevo proprio sentire qualche blogger egiziano e tunisino che avevano sfidato il regime con Twitter e Facebook.
– Twitter e Facebook non fanno le rivoluzioni, sei il solito tecnottimista: la candidatura di Internet al Nobel per la Pace non ti ha insegnato nulla?
– Mi ha insegnato che sono le persone che fanno le rivoluzioni, ma la rete è molto più di uno strumento: ci cambia in meglio, giorno dopo giorno.
– Torniamo all’Open Gov che è meglio dai.
– Insomma a New York il primo giorno sento questa sfilata di blogger eroici: mi emoziono e mi entusiasmo. Il secondo giorno sfilano giovani politici che in tutto il mondo stanno realizzando progetti Open Gov: si può fare!, penso. E torno in Italia. Gasatissimo.
– E ti svegli…
– No, mi ricordo che avevo preso un impegno con un certo David Osimo il quale, con una mail da Bruxelles dove lavora, qualche settimana prima mi aveva chiesto di far parte di una giuria di applicazioni civiche per la regione Emilia Romagna. Io quando avevo sentito l’espressione applicazioni civiche non avevo capito un tubo, ma avevo accettato un po’ perché sono un tipo disponibile ma molto perché sono curioso.
– Chissà che divertimento queste apps… invece di Angry Birds, avevate Angry Sirs?
– Divertimento, lo puoi dire forte. Ricordo che arrivarono più di cinquanta progetti. Uno più bello dell’altro. Cose facili e utili per migliorare la politica locale e la vita dei cittadini.
– Non esaltarti ma sto capendo dove vuoi andare a parare adesso.
– Tieni conto che a giugno eravamo tutti inebriati dall’impatto della rete sulle elezioni amministrative e sui referendum. Senza Internet sarebbe stata tutta un’altra storia: la gente aveva voglia di partecipare, lo aveva dimostrato. In quei giorni, un amico con cui ho condiviso tanti progetti, Paolo Iabichino, aveva lanciato su twitter l’hashtag #pisapiasentilamia per raccogliere le proposte dei milanesi e i Greengeek Mauro Lattuada e Leonardo Foderaro avevano raccolto la sfida e costruendo un aggregatore di risposte e proposte.
– Un aggregatore? Tutto qui il vostro Open coso?
– No, fermati. Lì nasce solo l’idea di fare “una cosa” che non si chiamava ancora wikitalia ma che lo era già nelle nostre teste: ovvero una associazione per “civic hackers” che fornissero gratuitamente applicativi open gov alle città.
– Perché gratuitamente?
– Intanto perché con questa cosa nessuno di noi ha mai pensato di guadagnare ma di fare un servizio civico, diffondere la cultura digitale: dimostrare che non è vero che per fare delle cose utili in rete servono tanti soldi. E poi, mi dissi, i comuni italiani non hanno un soldo e nel recente passato ne hanno sprecati tanti per computer obsoleti, server sovradimensionati e software inutili.
– Un quadro devastante.
– Ma vero purtroppo: un giorno dovremmo andare a rivedere come sono stati spesi i soldi in questo settore da parte della pubblica amministrazione.
– Non è tutto come Italia.it, non esagerare adesso.
– Non esagero, ma quando ho scoperto che la Margherita, dopo essersi sciolta nel Partito Democratico, un anno ha speso quasi 600 mila euro per un sito Internet ho capito che questo andazzo non è finito. Ma torniamo al progetto. Piano piano attorno a questa idea il gruppo cresce, arrivano amici, “militanti” dell’open gov, sviluppatori. Persone che non solo non conoscevo, ma che non sapevo neanche che esistessero ma che oggi sono fiero siano parte di wikitalia. Una pattuglia di idealisti concreti. Ti voglio raccontare una storia simbolica che spiega bene chi siamo.
– Preparo il fazzoletto?

– Era fine luglio e ricevo un tweet da un twittero che conoscevo perché molto attivo e sagace: tal @thomazmagnum. Dice che è nata una app che si chiama Decoro Urbano e mi invita a testarla. Io naturalmente lo faccio: era una beta ma era già una figata. Praticamente un fixmystreet italiano, un modo facile per segnalare problemi al decoro della propria città, condividendo la segnalazione su una mappa e avviando un processo della amministrazione locale per provvedere.
– Niente di nuovo, direi, ne esistono altre così anche in Italia se non sbaglio.
– Sì. c’è ePart, che non è affatto male, ho incontrato l’ingegnere calabrese che l’ha sviluppata: Alberto Muritano, è bravo. E poi c’è il progetto torinese di AtWork che si muove nello stesso ambito e anche in quel caso il promotore mi è piaciuto: Alvise Rossano, è un idealista di mezza età come me. Ma Decoro Urbano era diverso. Era quello che cercavo. E ti spiego perché. Contatto @thomazmagnum e gli chiedo di vederci come faccio sempre quando in rete trovo una storia che mi piace. Scopro così che la società che ha curato lo sviluppo, Maiora Labs, sta a Roma e questo mi rende più facile la cosa. Ci diamo appuntamento per un caffé e si presentano due ragazzi: thomazmagnum, che nella vita si chiama Fabrizio Verrocchi, è un gigante, e fa l’art director; e Claudio Corti, più piccolino, mercuriale, nel senso di rapidissimo, uno dei fondatori di Maiora Labs. Mi raccontano com’è nato Decoro Urbano, come pensano di svilupparlo, la filosofia del We DU, ma il meglio arriva alla fine. Chiedo loro: scusate ma con questa cosa, comune dopo comune, potete guadagnare spiccioli di euro. Perché due ventenni si sono buttati anima e corpo qui invece di provare a fare i soldi in qualche altro modo? E loro, non mi ricordo chi dei due, mi dice: perché vogliamo contribuire a rendere l’Italia un paese migliore.
– Zac!, lì ti hanno fregato.
– Non ancora, sono troppo vecchio ormai per farmi convincere solo da una frase, sebbene si tratti di una frase per me bellissima, te lo concedo. Ho quindi voluto che superassero la superprova. Gli ho chiesto: siete disposti a rendere la vostra app open source, liberando il codice sorgente a tutti, e metterla a disposizione di un progetto più grande?
– Indovino: ti hanno detto sì…
– Mi hanno detto sì!
– E quale era questo progetto più grande?
– wikitalia, appunto. Cioé una associazione (o una fondazione forse, questo lo vedremo dopo) che fornisca ai comuni un pacchetto completo per diventare open: e quindi strumenti per trasparenza, rilascio di dati pubblici e partecipazione.
– E tu avevi solo we DU, un po’ poco….
– No, nel frattempo avevo incontrato, sempre a Roma i ragazzi (non ragazzi veri, ma di spirito, avranno la mia età), di openpolis, quelli che da anni fanno openparlamento e ci dicono quanto sono stati presenti e assenti i parlamentari e per cosa hanno votato.
– Conosco conosco.
– Operano da una sede piccola ma affascinante nel quartiere San Lorenzo. Sono andato a trovarli e mi sono subito piaciuti. In queste settimane sono al lavoro per sviluppare un applicativo che si chiama Open Municipio: in pratica un modo per portare l’attività di consigli e giunte comunali in rete con in più alcuni strumenti social.
– Quanto è di moda il social…
– Non è solo una moda. In questo caso poi vuol dire portare l’attività politica nella conversazione della rete. Funziona così, almeno nella mia testa: tu cittadino chiedi di essere avvisato con una mail quando la giunta approva qualcosa che ti interessa, chessò, gli asili nido, il verde pubblico, la sicurezza. Come un Google Alert. Quando lo ricevi, ci clicchi sopra e finisci sopra la delibera. A quel punto la puoi commentare e anche condividere con i tuoi amici su Facebook e Twitter. Questo aumenta il dibbbattito, con tre b, ma è anche uno strumento della amministrazione per capire che aria tira, correggere eventuali errori e alla fine prendere comunque una decisione, che può tranquillamente essere diversa da quello che è emerso in rete, ma a quel punto al politico toccherà spiegarlo e motivarlo bene.
– Secondo me così si corre il rischio di una politica trainata da una piccola minoranza via web.
– No, così si evita che decisioni importanti vengano prese al chiuso, senza informazioni e con potenziali pastette. Mi viene in mente una massima molto in voga negli Stati Uniti su questo. E’ in inglese però.
– …
Sunshine is the best disinfectant.
– La luce del sole è il miglior disinfettante: tutto si traduce, nulla si distrugge caro mio!
– E poi, noi non auspichiamo una democrazia assembleare, ma politici che sappiano ascoltare e abbiano il coraggio di prendere anche decisioni impopolari, ma alla luce del sole e assumendosene la responsabilità. Pubblicamente.
– In quale paese questo?
– In Italia.
– Ahahah. Scusa, rido.
– Ma non ho finito di spiegarti i pilastri di wikitalia. Il terzo sono gli open data. Traduco da solo stavolta: rilascio di dati pubblici in formati che li rendano scaricabili, ricercabili, incrociabili. Insomma, mettere in rete un PDF non è fare open data.
– Ma è così importante questa cosa?
– Moltissimo. In Italia, io l’ho scoperto da poco, una comunità di persone si è molto sbattuta per spiegarlo alla pubblica amministrazione. E hanno ottenuto un grande successo il 18 ottobre scorso quando l’ex ministro Brunetta ha presentato il sito dati.gov.it, dicendo che l’open data non è di destra né di sinistra ma è una cosa da fare e basta. Quel giorno, anzi la sera prima, abbiamo presentato in rete l’idea di wikitalia.

– Perché questo nome?
– Per tanti motivi. Ci abbiamo girato intorno a lungo, anche con quel Paolo Iabichino che ti ho citato prima. Ma alla fine il nome più convincente ci sembrava quello più semplice, diretto: ricorda Wikipedia, che è il più grande esperimento collaborativo del mondo; si richiama a Wikicrazia, il libro di Cottica che è un manuale di esperienze concrete su questo terreno. E poi era facile.
– Meglio di Open Government!
– C’era il problema che il dominio wikitalia.it risultava occupato. E qui ti racconto un’altra bella storia che ti spiega chi siamo. Allora, io mi informo su chi l’avesse registrato e scopro che è un certo Agostino Quadrino, editore di libri scolastici digitali con la società Garamond. Quadrino, Quadrino… il nome mi diceva qualcosa. Massì, era un mio “amico” di Facebook che ogni tanto mi postava delle cose interessanti! Lo chiamo, lo vedo, gli parlo e quel dominio diventa il nome del progetto. Mentre un giovane art di Firenze, Francesco Terzini, ci regala il logo che vedi in rete.
– E quando annunciate che vorreste fare wikitalia che succede?
– Tante cose. Tantissimi messaggi di consenso. Tante città ci chiedono di essere attivate. E cominciamo a pensare di farla sul serio. Tra l’altro partiamo con l’adesione sulla carta di tre città importanti: Torino, Firenze e Matera. Sono tre tra le tante a cui avevo presentato l’idea nelle settimane precedenti al lancio. Soprattutto con Firenze si stabilisce subito un feeling straordinario. Merito del sindaco Renzi, certo, ma merito della prima linea di dirigenti del comune che si rivelano fin dalle prima riunioni curiosi, supercompetenti e disponibili. Ecco la disponibilità è importante, perché per fare bene queste cose servono tempo e attenzione. Infatti il 17 ottobre, grazie anche all’aiuto dei nostri soci Matteo Brunati e Lorenzo Benussi, Firenze entra nel mondo degli open data rilasciando una cinquantina di datasets.
– Un altro inglesismo e ti lascio a parlare da solo.
– Set di dati, gruppi di dati pubblici.
– E che ci fanno i fiorentini coi set, ci giocano a tennis?
– Per esempio ci fanno una app: una applicazione che dica al cittadino in tempo reale, dove stanno i servizi della città aperti e funzionanti in quel momento. Gliela stiamo facendo noi, anzi gliela farà il numero uno di queste cose non solo in Italia: Max Uggeri, in arte iRev, un hacker molto figo e molto civico.
– Cos’è cambiato dal 18 ottobre ad oggi?
– Intanto wikitalia è nata davvero: per ora come associazione. I soci fondatori sono diventati 55 e abbiamo molto riequilibrato la presenza di donne.
– Fate le quote rosa anche voi?
– No, non serve. E’ successo così. Ogni tanto qualcuno proponeva agli altri promotori il nome di qualcuno capace interessato ad darci una mano: per esempio è arrivato così Roberto Moriondo, un antesignano di questi temi, ha fatto il primo portale dei dati in Italia, per la Regione Piemonte. Un giorno Flavia Marzano, che è presidente di statigeneralidellinnovazione, ci ha detto: posso proporre qualche fanciulla? E sono arrivate le candidature una dozzina di donne dai curricula davvero spettacolari sul tema. Stiamo molto meglio così, adesso.
– E tu sei stato eletto presidente.
– Sì, sabato 28 gennaio. Nello studio legale di Guido Scorza, che sta con noi dall’inizio e che ci ha ospitato. E’ stato un sabato mattina che ci ricorderemo a lungo. Molti di noi si vedevano per la prima volta, altri erano collegati via Skype: abbiamo invano provato la videochiamata multipla, ma senza successo devo dire. Ci vorrebbe la banda ultra larga per queste cose. Comunque in qualche modo alla fine abbiamo eletto le cariche sociali. Un consiglio direttivo, un esecutivo e mi hanno fatto presidente. Il che un po’ mi lusinga e un po’ mi spaventa perché ci siamo dati un obiettivo complicato, anzi, azzardato forse: migliorare la politica in Italia.
– Lo vedi che non ci credi neanche tu allora?
– No ci credo moltissimo. E credo che sia anche il momento giusto. Non solo perché siamo in profonda crisi, ma perché per la prima volta su questi temi notiamo una predisposizione favorevole, una attenzione nuovo. Anche da parte del governo: nelle settimane scorse alcuni di noi sono stati chiamati da ministri curiosi di sapere come portare la cultura dell’Open Gov nel governo Monti. E qualche consiglio lo abbiamo dato.
– E’ colpa vostra allora se il premier si è messo a rispondere alle mail pubblicando sul sito del governo quella in cui si dice che una bambina di due anni e mezzo lo vede in tv e lo chiama nonno Mario?
– No, quello non è Open Gov. Ma una attenzione del premier verso la trasparenza e la partecipazione c’è, è concreta e mi fa sperare il fatto che da palazzo Chigi si dica che presto verranno adottati strumenti in questo senso. Tra l’altro, farlo costa poco o nulla.
– Ma il vostro obiettivo non erano le città italiane?
– Infatti. Stiamo chiudendo il progetto Firenze. Ci interessa chiudere un progetto bene prima di andare avanti con le altre per creare un precedente, una case history.
– Me ne vado, ti avevo avvisato.
– No aspetta, un’ultima cosa. Ora stiamo rifacendo il sito, in italiano e in inglese, rendendo finalmente chiaro a tutti come partecipare, affiliarsi, proporre progetti, sostenerci, magari donando ore per sviluppare applicativi. In primavera saremo pronti ad occuparci delle altre città. Stiamo finalizzando accordi importanti con corporation che sosterranno l’associazione come donatori per il 2012. Sarà un anno importante, insomma, e a fine anno vorrei lasciare la guida di wikitalia a un altro.
– Sei appena arrivato e vuoi già lasciare?
– No, ma wikitalia è un servizio e tra i soci attuali in tanti sarebbero in grado di fare il presidente al posto mio. Una rotazione è sana in ogni organizzazione sana; del resto non servono cariche per continuare a impegnarsi. Tu piuttosto, hai capito come tradurre Open Gov?
– Democrazia Aumentata.
– Sei bravo in fondo.

Riccardo Luna

Giornalista, sono stato il primo direttore dell'edizione italiana di Wired e il promotore della candidatura di Internet al Nobel per la Pace. Su Twitter sono @riccardowired Per segnalare storie di innovatori scrivetemi qui riccardoluna@ymail.com. La raccolta dei miei articoli per Wired è un social-ebook scaricabile da www.addeditore.it.