Diciotto startup fondate da donne e gestite da donne che mi avete segnalato

Ci sono dei post che vengono ignorati o quasi. Ce ne sono altri che ottengono alcuni commenti. Poi ce ne sono altri, più rari, che riescono non solo ad aprire un dibattito, ma a far emergere una realtà fino a quel momento nascosta. Quando la settimana scorsa qui ho ripreso il tema, lanciato dal professor Alberto Onetti, delle poche startup guidate da donne, sapevo, speravo che qualcuno mi avrebbe strattonato per dirmi: “ehi guardami, ci sono anche io, ci siamo anche noi”. Lo hanno fatto in tante e ne sono felice. Per giorni, fino a ieri, la conversazione è rimbalzata, dal mio blog su Il Post, dove ho riproposto il testo scritto per Repubblica Sera, per approdare al gruppo di Facebook Italian Startup Scene, e poi su Twitter per finire dritto, in qualche caso, nella mia mail ufficiale.
Qui vorrei ora elencare le storie che mi avete segnalato, aggregandole da tutti i canali che sono stati usati. Lo faccio per voi che leggete, lo faccio per quelle che me le hanno scritte, ma lo faccio anche per me: per non perdermele, per ricordarmele, per andarle ad approfondire una per una. E per far venire voglia ad altre startupper di raccontarsi. Perché se è vero che alcune ce la fanno, è vero che tante si fermano prima, anche quando hanno una buona idea, un po’ perché capita a tutti di fallire, ma molto, forse, perché siamo ancora in una società essenzialmente maschilista e questo non è un danno per le donne: è un danno per tutti noi, visto che sprechiamo la metà del nostro capitale umano.
Molte poi magari si fermano perché non abbiamo modelli, non siamo stati capaci di raccontare come e perché alcune ce l’hanno fatta. E’ quello che vorrei iniziare a fare. Raccontarle. E dunque vediamo cosa mi avete scritto.

Dario Salvelli mi dice: “Non per far polemica ma ne parlavano giusto qualche thread fa: io credo che disegnare robe “al femminile” favorisca solo il luogo comune del quale parli… il venture guarda il sesso dello startupper? No, guarda la tenacia. E non credo che in giro non ci siano donne tenaci”.

Anche Tara Kelly è perplessa:” Apprezzo l’intento. Spero che non me ne vuoi quando pero’ dico di lasciare che le donne si organizzano (o meno) per conto proprio”.

Alberto Pozzobon minimizza: “A mio modo di vedere l’unica cosa sicura di differenza fra uomini e donne è che gli uomini non sono adatti a far figli!”

Sandro Trapella guarda le cose da un punto di vista storico: “Quello che ho rilevato nell’ultimo decennio e’ che ci sono stati proprio pochi TENTATIVI da parte di donne, non solo pochi successi. Quindi non si puo’ individuare nelle cause ambientali i minor successi, bensi’ nel minor numero di tentativi…  A cosa sia dovuto poi non lo so. Pero’ ho proprio notato un minore interesse nel cercare di realizzare qualcosa di nuovo, e di grande…”.

Giuseppe Cardinale Ciccotti prova a capire il problema: “Visto che la maggior parte delle startup sono di tipo tecnologico e informatico magari dipende anche dal fatto che numeri alla mano le ragazze che si dedicano alle materie tecniche sono meno dei ragazzi. Poi magari varrebbe la pena di chiedersi il perchè”.
Il perché se lo chiede anche Antonio Leonforte: “Ha ragione Giuseppe, il problema nel campo delle startup web/hitech è largamente a monte. Nei settori più tradizionali (ma anche meno scalabili) come le aziende di servizi alla persona, credo che la percentuale di imprenditici sia maggiore”.

David Semeria liquida il tema così: “Non ho mai capito perché le donne si lamentano delle opportunità sul web. Non è come l’esercito, è il posto più meritocratico sul pianeta. Basta avere grinta, capacità e fantasia. E, come detto, da una pagina web non si capisce il sesso di chi ci sta dietro….”

Francesca Cavallo argomenta le cose da fare;: Mi sembra che non si debbano usare le storie delle donne startupper per dimostrare che non è vero che le donne hanno dei limiti caratteriali che impediscono loro di fare startup. Questo è evidente, e non per ragioni ideologiche, ma perché emerge da studi di settore seri, come quelli citati Ilene H. Lang su Forbes. Raccogliere le storie delle donne che fanno startup può essere utile per costruire role models di cui c’è senz’altro bisogno, e non solo in Italia. Ascoltare le donne che fanno startup è utile anche per capire quali sono le difficoltà legate al doversi adattare a un mondo fatto da uomini e per uomini, in cui è molto difficile far passare un modo più femminile di affrontare le questioni. Uno degli scogli che mi vengono immediatamente in mente, è che nel mondo delle startup l’aggressività è spesso scambiata per determinazione. Questa, per esempio, mi sembra una delle ragioni per cui si è creato il falso mito per cui le donne siano meno ambiziose.

Francesca Cavallo è socia di Elena Favilli nella prima startup da memorizzare. Scrive Elena: “Sono una delle startupper che hai presentato negli ultimi anni. Per la precisione al Working Capital Tour di Bologna del 2010, quando il mio progetto di magazine digitale per bambini vinse un premio da 20mila euro. Ora quel progetto si chiama Timbuktu e ha vinto l’ultimo Mind the Bridge di cui parli nel tuo articolo. Siamo una startup esclusivamente al femminile e partiremo per San Francisco il prossimo 29 gennaio. Ci farebbe molto piacere approfondire con te questo tema, che ti assicuro non si riduce a “sostanziali differenze caratteriali. Grazie”.

E quindi, Timbuktu è la prima. Vediamo le altre.
Emanuela Donetti: “Urbano Creativo è una startup nata nel 2007 con un board 100% femminile. La nostra avventura, mia e di Micaela Terzi, la mia socia, è proseguita fino a un nuovo progetto, Mobirev, che è arrivato primo nel settore ICT della Start Cup Milano Lombardia a settembre 2011. Anche se il board di Mobirev è misto, il Ceo è sempre una donna… E’ una grande avventura, ma le caratteristiche di ogni donna, passione e determinazione, sono delle grandi compagne di viaggio!”.

Claudia Rossoni: “Non sarò una classica startup… ma per ben 2 volte ho messo in piedi uno studio di pilates fondato sulla voglia di imprendere completamente femminile. Punto primo…. il rischio mi motiva (avrò un carattere maschile) e trovo che se non si rischia scegliendo un lavoro autonomo allora è un controsenso. Per quanto riguarda il pensare in grande … l’ho sempre fatto ma ahimé forse le mie sono idee premature per il mio campo in Italia… (esempio effettuare pagamenti degli abbonamenti con paypal… prendere appuntamenti via skype…. o scheduling online….o altro…)”.

Francesca Romano: “Probabilmente donne startupper ce ne sono poche, ma di certo non per via dei punti della ricerca citata da Onetti. La donna non sarà propensa al rischio, ma di fatto rischia sempre e sempre di più dell’uomo, la donna non ha bisogno di pensare in grande perché naturalmente fa cose grandi. Le donne non sanno chiedere?!? Quando una donna vuole, una donna ottiene.. e sulla trasparenza e la sincerità, signori uomini… lasciatevi servire: noi donne non mentiamo semplicemente perché siamo andate oltre ..sappiamo manipolare.Vogliamo parlare poi dello spirito di sacrificio, della determinazione, della costanza, della capacità di essere multitasking?!? Queste sono le fondamentali di una start up e ancora non ho mai incontrato un uomo così altamente dotato, ho incontrato una donna così, che ho percepito veramente affine @Gioia Pistola e con lei ho lanciato un progetto di Start Up @Simple – One Rule, You Rule con il quale non solo dimostreremo che le donne sono più che adatte a fare start up, ma anche che queste generalizzazioni non hanno senso di esistere. Quello che esiste sono persone capaci e persone incapaci”.

Michela C: “Non ho mai partecipato a concorsi e non ho incontrato venture capitalist (la mia attività richiede e richiederà più investimenti in capitale umano che in capitale in senso stretto) ma questa settimana ha visto la luce la mia prima iniziativa professionale. Per dieci anni ho lavorato come dipendente, collaboratriceco.co.co.co.co., stagista etc. Un anno fa ero una impiegata amministrativa in maternità con contratto a tempo indeterminato e tutte le tutele del caso. Oggi ho già dei clienti che mi hanno affidato l’attività di Content Manager e Social Media Specialist (un anno fa non avrei capito le parole che ho appena scritto). Imprudente e visionaria?”

Scrive Pilar Morales: “Quello che indica Onetti come differenze caratteriali delle donne rispetto agli uomini, che possano essere un limite per la imprenditorialità femminile, l’abbiamo vissuto nella nostra esperienza di startup al femminile con B.e Quality www.be-quality.com. Questo sommato al fatto che la società in cui viviamo è un limite per le donne imprenditrici, ci ha bloccato qualche mese fa nel pensiero di non essere in grado di fare impresa. Ma abbiamo avuto la fortuna di partecipare ad un programma regionale di supporto ai neoimprenditori che comprendeva un corso di empowerment per le aziende femminili. E ci ha aiutato a superare questo pensiero che ci bloccava. Siamo ancora in fase di startup con più voglia di continuare ad imparare e a crescere. E ce la faremo!”.

Un’altra storia molto bella la racconta Lisa Ziri: “Io e la mia socia abbiamo fondato Nemoris a giugno 2011 ma l’idea era nata più di un anno prima quando siamo state messe in cassa integrazione per i problemi della azienda, una multinazionale nello sviluppo software con cui lavoravamo. Avevamo tempo libero e voglia di fare/imparare cose nuove, spesso quando lavori in campo informatico non hai tempo di stare dietro ai cambiamenti di settore. Per esperienza professionale siamo partite da un problema concreto e abbiamo cercato di risolverlo. Ci siamo trovate in mano un prototipo, ci siamo appassionate, per gioco abbiamo fatto domanda per un paio di bandi di accompagnamento all’imprenditoria: molti ci hanno detto che l’idea aveva buone possibilità e nessuno ci ha fatto notare che eravamo donne ed era strano. Insomma, oltre alla passione personale, siamo state incoraggiate da persone competenti di cui ci fidavamo. Ora stiamo dimostrando di avere comunque spirito imprenditoriale… Penso che a volte basti una piccola conferma e per questo gli incubatori e le iniziative locali di coaching sono piuttosto utili per supplire ad una società in cui forse ci sono poche donne che fanno impresa perché si continua a dire che poche donne possono fare impresa…”.

E poi questa di Linda: “Nelle Regioni o Province che incentivano l’imprenditoria femminile il numero di startupper donne è molto alto. Per quanto mi riguarda nel 2008, a 30 anni, grazie anche ai fondi della Provincia di Terni, ho dato vita a Indisciplinarte, una SRL che si occupa di gestione di spazi e attività culturali, in società con una “investitrice” (sempre donna). Dal 2009 Indisciplinarte gestisce il CAOShttp://www.caos.museum, 6000 MQ di ex fabbrica chimica riconvertita a centro culturale a Terni, in Umbria. Un caso quasi unico nel suo genere in una città che risponde alla crisi dell’industria pesante con investimenti nell’industria culturale. Quello che so è che senza gli uomini che lavorano con me da quando ho cominciato non ce l’avrei mai fatta (nè loro si sarebbero forse mai avventurati in un business del genere senza il mio impulso)!!”.

Infine Francesca Parviero: “Ciao a tutti/e! Noi di The HR Jungle siamo un team tutto al femminile e abbiamo lanciato “la giungla delle risorse umane” un anno fa circa: abbiamo deciso che per l’impronta innovativa e ad alto impatto sociale la casa di THRJ dovesse essere The HUB Milano. The HR Jungle però non è una startup tech, opera nell’ambito delle Risorse Umane e qui credo si possa leggere la prima differenza: non ci sentiamo certo meno “…innovative ad alto potenziale di sviluppo” però diverse si dalle molte startup tech. Forte dell’esperienza del gruppo donne di Manageritalia Milano (un osservatorio attento e attivo per le donne nel mondo del lavoro) di cui faccio parte concordo con chi ti fa notare che le stesse logiche che sono proposte nella nostra società sono probabilmente presenti anche in questo ambiente (oppure in questo mondo di start-up siamo tutti più bravi e migliori degli altri?). Sono anche d’accordo sul fatto che le donne abbiano dei tratti distintivi importanti: ma che questi possano essere una discriminante credo sia un giudizio personale e, da inguaribile positiva, ribalto il concetto, che sia vero il contrario e cioè che questi tratti possano garantire un’avventura più duratura e concreta a dispetto di qualche premio in meno? E’ importante continuare a parlarne, grazie! Francesca”.

Siamo a quota nove. Poi ci sono le segnalazioni flash via Twitter. Gabriele Costamagna: “Quest’estate ho lavorato al coworking @treatabit con Elenia CEO di @Clipit_arredo, made in italy ;)”.

Alessia Bellon: “Io e Sara @sara_t85 di Logopro – startup in rosa 100% per un anno – exit 2011 di HFarm @hfarmventures”.

Gilberto Dallan telegrafico: “Senti @VirginiaSci”. Ovvero Virginia Sciré founder e CEO di Allegri Briganti, abbigliamento per bambini (mi ha contatto su Twitter, ora la cerco.).

Massimo Riera segnala una startup siciliana tutta al femminile Ecodesign di Lucy Fenech la quale interviene per dire: “Io credo che il dibattito sia molto interessante, e va affrontato in maniera profonda e costruttiva… Da spettatrice al venture camp del MtB non ho potuto fare a meno di notare la bassissima presenza femminile… con solo qualche eccezione… E a Catania con Augusto Coppola, mio primo ed unico pitch al momento… unica donna su una quindicina di pitch”

Dario Grilli segnala “Sara Mervi di coccole soft che ha fatto iGravidanza iMatrimonio allattamento e crescita oltre altre app per iPhone … Trovi sue interviste in tv su youTube…”.

Matteo Faggin scrive: “Se cerchi qualcosa meno scontato ti segnalo www.biouniversa.com spinoff di Salerno dove le donne sono dominanti non perché si tratti di “cose da donne” ma semplicemente perché brave”.

Giuseppe D’Antonio: “Conosco una donna che sta facendo belle cose (Letizia Quaranta) con un suo sistema educativo chiamato “Bilingue Per Gioco“. Credo negli ultimi 18 mesi stia crescendo molto e sicuramente è una vera donna imprenditrice della nuova generazione (pensa che il suo business è nato grazie alle sue attività di blogger)”.

Sandro Trapella: Ho sempre notato anch’io questa scarsita’ di donne tra le startupper. Pensavo fosse piu’ un fenomeno italiano. E le motivazioni, non penso siano quelle dell’articolo…Come startup al femminile, anche molto interessante, a me viene in mente www.pazienti.it, che so che e’ stato fondato da una donna. Non so a che stadio e’ come completezza del progetto, financing ecc., pero’ sicuramente un progetto interessante (pazienti.it è il progetto di Linnea Passaler)

Daniele Ferrari, ma anche Nicola Mattina, segnalano Barbara Labate con il progetto http://www.risparmiosuper.it/

E siamo a diciotto: diciotto startup fondate e gestite da donne, venute allo scoperto in poche ore. Grazie a tutte coloro che hanno voluto condividere la loro storia. Il bello, per me comincia adesso.

post rielaborato a partire da un testo pubblicato su Repubblica Sera venerdì 13 gennaio

Riccardo Luna

Giornalista, sono stato il primo direttore dell'edizione italiana di Wired e il promotore della candidatura di Internet al Nobel per la Pace. Su Twitter sono @riccardowired Per segnalare storie di innovatori scrivetemi qui riccardoluna@ymail.com. La raccolta dei miei articoli per Wired è un social-ebook scaricabile da www.addeditore.it.