Fotografie da leggere

Chiunque ami la fotografia, ama i libri (di fotografia naturalmente). I libri ci piacciono, di più, ci eccitano. Li cerchiamo, li studiamo, li desideriamo. E soprattutto, noi amanti della fotografia vogliamo fare un libro. I fotografi, primi fra tutti, per vedere consacrato il loro lavoro – modesto o riuscito – sull’altare della cultura. Poco importa che poi il libro si venda, ancor meno che sia interessante o che in qualche modo giustifichi la sua esistenza. Un libro è per sempre, si pensa. E le fotografie in esso contenute entreranno a far parte della storia, si presume. Ma non sono solo i fotografi in cerca di gloria – dimenticati dai giornali, gallerizzati dall’informazione online, vilipesi dalle immagini domestiche dei social network assunte a nuovo linguaggio – a desiderare di fare libri. Sono anche i curatori, i photo editor, i designer e i grafici, gli scrittori e i critici. Mentre gli editori, i veri protagonisti di questa storia, dovrebbero assumere la responsabilità di discernere tra proposte importanti e inutili sequenze di immagini senza un perché. Orbene, nel paese fotografico tutti stanno facendo un libro. Chi non lo sta ancora facendo, parteciperà a qualche workshop per imparare a fare un libro. Chi non fa il workshop andrà a vedere le fiere dell’editoria ufficiale  e del self publishing. E chi non si può permettere questo viaggiare, passerà le nottate a casa propria a impaginare con Blurb o con altre piattaforme simili che ci illudono che davvero tutti possiamo fare un libro.

Nell’umano desiderio d’immortalità un libro regala almeno un’illusione di eternità. All’appuntamento annuale di Paris Photo, appena concluso, l’Off Print – la parte dedicata ai libri autoprodotti – era più affollata che mai e ogni idea, ogni contenuto e ogni soluzione grafica che avete mai pensato, l’avreste potuta trovare bella e fatta. Nella selezione ufficiale del premio al miglior libro “Photobook Award” le 30 opere finaliste davano un panorama davvero eterogeneo. Il libro premiato, Karma, di Óscar Monzón ha fatto tanto discutere. Personalmente è un oggetto che trattiene la mia attenzione per 3 minuti al massimo. Per contributo al dibattito potete leggere una puntuale critica di ogni singolo finalista. In parte condivisibile. Comunque autorevole e interessante punto di vista.

In tutto questo brulicare di libri fotografici noto sempre con un certo sconforto che alle sequenze d’immagini, confezionate dalle peripezie grafiche, sovente si affianca un bel testo sull’argomento e una prefazione, possibilmente di nome altisonante nel continente fotografico. Passando in rassegna gli espositori ho pensato che non mi sarei più dovuta far contagiare dalla bulimia librifica. Ma visto che per ora ne sono vittima, non ancora pentita, questa premessa sincera per parlarvi di un libro anzi, 4. Nati per caso, figli di tanti padri e di tormentata madre – la sottoscritta che proclama la bulimia librifera – 4 sono gli elementi aria, acqua terra e fuoco. Ognuno ha il suo libretto che racchiude le immagini, prodotte dal collettivo Terra Project nel corso di anni e nate dalla cronaca, da committenze e dal caso.

Viaggi nelle cementificate coste italiane, nei paesi colpiti dal dissesto idrogeologico, nei paesaggi offuscati dai fumi di scarico e molto altro. La cosa intrigante di questo progetto è costruire un editing che rompa il modulo foto + testo appiccicato + prefazione elegante. Si tratta di sovvertire la convenzione che vuole la scrittura e la fotografia indipendenti. Questa volta la scrittura, quella di Wu Ming, trae ispirazione dalla fotografia e il racconto nasce dalle suggestioni offerte dalle immagini. Non commenti o analisi, ma racconto fantastico. Narrativa che scaturisce dalla visione. Esperimento e dunque sfida. Dunque mi metto all’opera e “edito”. Si comincia dallo strato superficiale. Eliminare quelle brutte. Poi si passa a quelle cronachistiche che diventano anacronistiche. Si sottrae quello che localizza, che definisce, che semplifica. Per completare il lavoro si tolgono gli umani che ingombrano la visione e diventano soggetti. Cerco un senso (che forse non c’è) e un’armonia tra le visioni di 4 fotografi uniti ma differenti. Provo a costruire una melodia visiva che ispiri. L’ultimo colpo di bisturi taglia tutto ciò che non è lirico, tutto quello che si esaurisce nell’immagine senza lasciare spazio ad altro. Rimane lo scheletro. Sta in piedi. Wu Ming comincia a scrivere Acqua…. Io affronto Fuoco. I Terra Project cominciano il crowdfunding. Sono in piena smania librifera.

Renata Ferri

Giornalista, photoeditor di "Io Donna" il femminile del "Corriere della Sera" e di "AMICA", il mensile di Rcs Mediagroup. Insegna, scrive, cura progetti editoriali ed espositivi di singoli autori e collettivi.