Com’è andato il premio Strega

Il 5 di luglio, ero ancora sul treno, ho sentito una signora romana dire al telefono, al suo fidanzato, «Che vuoi da me?». Credo, che fosse il suo fidanzato, lo chiamava Amore. «Amo’», a dire il vero. E io ho pensato che se me l’avesse detto una mia fidanzata, a Parma, quando ero giovane, «Che vuoi da me», ci sarei rimasto malissimo. E anche adesso che ho quarantanove anni, se me lo dicesse mia figlia, «Che vuoi da me», per esempio, ci resterei malissimo.

Poi sono sceso dal treno ho preso la metropolitana ho camminato venti minuti, prima di arrivare al treno della metropolitana. Su e giù per delle scale. E intanto che camminavo pensavo che a Roma, la metropolitana si paga come quella di Milano, un euro e mezzo, dovrebbero farla pagare un po’ meno. E intanto sentivo l’odore di Metropolitana mi sembrava di essere a Mosca, che è stato il primo posto dove ho vissuto che c’era una metropolitana che gli ho voluto bene. Poi sono arrivato all’albergo l’albergatore era contentissimo che era arrivato l’inviato di Libero. «Ma dov’è Libero, la sede, qua a Roma?» mi ha chiesto.

«Guardi, – gli ho detto io, – non lo so».

Dopo un po’ sono uscito ho preso un taxi il tassista prima di partire ha detto al telefono «Allora quando smetto ti vengo a prendere?». E c’era un che, nella voce, come se stava parlando con una donna che stava per uscirci per la prima volta ed era emozionato. E dopo ha detto, ma subito, dentro al telefono «Eh, e che vuoi da me?».

E io ho pensato «Va be’».

E poi ha messo giù siamo partiti e siam passati per un parco, che immagino fosse Villa Borghese, e a guardar fuori dal finestrino c’eran due sdraiati, sull’erba, e lei era a piedi nudi, e faceva andare una pianta del piede avanti e indietro la strusciava sull’erba, e io ho pensato che a quei due lì, del Premio Strega, non gli interessava mica tanto.

E poi, ma subito dopo, il taxi si fermava davanti a una villa gialla eravamo arrivati.

E all’ingresso facevano tutti vedere un invito, io non avevo invito dicevo: «Non ho l’invito».

«È della stampa?» mi chiedevano.

«Sì,  – dicevo io, – di Libero».

«Gli accrediti a destra, – diceva lui, e poi aggiungeva, velocissimo, – Libero va sempre bene».

«Ah, – dicevo io, –grazie».

Dentro, il ninfeo di villa Giulia è un posto bellissimo. Un po’ illuminato in un modo un po’ sepolcrale, se posso dire, con una vaghissima aria cimiteriale, ma bellissimo.

La maggior parte degli invitati hanno i tavoli, si siedono intorno a dei tavoli. Io non ho il tavolo. Giro. La prima mezz’ora, non so. Non mi parla nessuno. Mi sento un po’ come una volta che sono andato in Transiberiana, che dovevo scrivere, per un mensile, quello che che dicevano i russi in viaggio, sulla Transiberiana, da Mosca a Vladivostok, sette giorni di treno, e i primi tre giorni, non mi parlava nessuno non sapevo cosa scrivere.

Dopo comincio a incontrare un po’ di gente, non che abbia molte cose da scrivere ma, per esempio, quando incontro Pascale, che è elegantissimo, quell’eleganza non elegante, in camicia no stiro, di quelle che non bisogna stirare, a me viene in mente che il giorno prima, quando ho stirato la camicia che ho addosso, a casa mia, ho pensato che non l’avrei mai detto, ma il giorno prima, intanto che stiravo, avevo pensato che una delle mie consolazioni, a quarantanove anni, era il piacere di stirare.

Poi si muovevano in gruppo tutti i fotografi, intanto che stavo parlando con una mia amica, e questa mia amica vedeva che prendevo nota del fatto che si muovevano in gruppo tutti i fotografi e diceva «Non scriverai mica di me, eh?».

E io ci restavo un po’ male.

E poi vedevo Paolo Mieli, e era la seconda volta in un mese che ero nello stesso posto di Paolo Mieli e pensavo che stavo sbagliando qualcosa, nella mia vita.

E poi incontravo una mia conoscente emiliana che mi diceva che era venuta a parlare con me per sentire un po’ di accento emiliano, e lei aveva un bell’accento di Reggio Emilia e io le dicevo che ci sono tre cosa, mia figlia, l’Emilia, e la letteratura russa, che sono come il socialismo, sono così belle che non se ne può parlare, e son le tre cose che io non faccio altro che parlare di quelle.

E dopo vedevo Marzullo, Rutelli, la Palombelli. Giulio Tremonti, che mi passava di fianco e ci salutavamo, «Buongiorno», «Buonasera».  Buonasera lo diceva lui, io dico sempre buongiorno. E poi cominciava una trasmissione televisiva che se l’avete vista ne sapete di più di me, della serata, perchè al ninfeo di villa Giulia, dove eravamo noi, non si sentiva niente. Si vedeva della gente boccheggiare.

Un’attrice, vestita di verde, una ragazza, vestita di blu, un presentatore, abbronzi, degli scrittori, poco eleganti di quell’eleganza poco elegante. Non ho capito molto.

Che voi, da parte vostra, potreste anceh chiedermi, «E la gara? Non ci parli della gara?»

E io vi risponderei «Ma no, certo che vi parlo della gara. Son venuto apposta. Eccola qua, la gara», vi direi. E dopo comincerei.

Villa Giulia (Roma), 5 luglio 2012, ore 22 circa:

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(questo articolo è uscito su Libero oggi)
Paolo Nori

Mi chiamo Paolo Nori, sono nato a Parma, nel 1963, abito a Casalecchio di Reno e scrivo dei libri; l'ultimo si intitola "I russi sono matti" (Utet 2019). Il mio blog è: paolonori.it.