L’ambizione maggioritaria è “nostalgia di futuro”

Vocazione maggioritaria non è una brutta parola. È invece l’ambizione ad allargare la base elettorale del centrosinistra per rappresentare le istanze e i bisogni della maggioranza dei cittadini, senza dover stare a parlare di alleanze probabili o improponibili. Per questo è nato il PD, per questo si fece l’Ulivo, forse l’Unione… e patapim patapam. Altrimenti tanto valeva restare nei recinti partitici di prima. Ma i duri e puri puntualmente gridano allo scandalo se qualcuno ieri ha votato UdC o FLI e oggi si presenta ai gazebo del centrosinistra per ‘inquinare’ le primarie: si sta scendendo a compromessi; si stanno facendo promesse aliene al nostro dna di combattenti per la libertà. Argomenti deboli.

Può essere, invece, che il progetto di tizio o caio candidato alle primarie abbia destato attenzione, supporto e partecipazione? Che forse anche Matteo Renzi, per fare un esempio, è stato votato da qualcuno non perchè vedeva in lui l’astro nascente della nuova destra (come lo descrivevano alcuni compagni) ma perchè la destra arranca, molto più della sinistra, a presentare una proposta politica innovativa al proprio elettorato tradizionale? È possibile che nel nuovo millennio i cittadini abbiano voglia di un nuovo linguaggio politico che anteponga le idee a chi le presenta?

Francamente, provo disagio. Perchè, cari amici e ‘compagni’, che ci piaccia o meno, esiste anche un elettorato di destra e di centro, democratico e moderato, motivato da principi genuini, che non sono solo e sempre interessi economici e sfruttamento dei deboli. Sono principi talvolta alternativi e distanti, altre volte cumulabili. È in questo momento che il PD e il centrosinistra hanno l’opportunità di catalizzare il consenso dei cittadini delusi, disillusi e smarriti, alla ricerca di una speranza che vada oltre il populismo e la protesta a oltranza. E questa opportunità va colta proponendo ‘azioni affermative’, non trincerandosi in dettami moralisti e ideologici.

Se poi c’è ancora chi ritiene che per avere la tessera del PD o patecipare alle primarie bisogna superare l’esame di genuinità marxista o socialdemocratica, allora era meglio non farlo il PD, continuare a inneggiare al ruolo sacro dell’opposizione, finanche all’interno del governo del quale si fa parte. In Italia è necessario uno slancio di rottura culturale e di mentalità. Bisogna riflettere senza ipocrisia non tanto sul sistema di potere fine a se stesso, bensì sulla destinazione d’uso del potere. Sono stato contento quando migliaia di cittadini che tradizionalmente non votavano a sinistra hanno compartecipato alla scelta del candidato premier del centrosinistra come non sono stato d’accordo quando la platea di aventi diritto al voto è stata chiusa per le successive parlamentarie. Certo, le ragioni le capisco. E sono tutte partitocratiche.

Vocazione maggioritaria significa anche partito plurale, dove le diverse sensibilità e culture godano di pari dignità. L’antropologo terzomondista polacco, Malinovski, diceva che “non esiste gerarchia tra culture”. In democrazia, le culture e le idee competono, i cittadini scelgono.

Il Partito democratico non ha altra scelta se non quella di aprirsi e uscire dalle stanze. “Nostalgia di futuro”, diceva Vittorio Foa quando aderì al PD poco prima di lasciarci. Un partito, con le parole di qualcuno che di amministrazione qualcosa ne sa, “che dialoga e non scaccia, che accoglie e non condanna, che alle persone antepone i programmi e chiede adesione su quelli.”

Michele Camerota

Michele Camerota è di Scauri (Lt), laurea in scienze politiche, master in diritti umani, viaggia e lavora in quattro continenti come osservatore elettorale e affini. Saldamente legato alle sue origini.