Zdenek Zeman, il fondamentalista

Era scritto che doveva finire così e i detti popolari tornano sempre utili: le minestre riscaldate sono molto spesso indigeste. E quindi ‘bye bye Zeman’ e grazie… di niente. Nonostante ciò, assodato che chi scrive non è stato zemaniano nemmeno per un attimo, non so se questa sia stata la scelta giusta da parte di una dirigenza che non ha il coraggio di portare avanti fino in fondo le proprie scelte. Lo stesso è avvenuto con Luis Enrique, rimasto in sella fino a fine stagione nonostante la forte discontinuità nei risultati.

Ci sono tante cose che noi comuni mortali non sappiamo della quotidianità di Trigoria, ma è evidente la mancanza di lungimiranza nel perseguire un qualsivoglia progetto di media-lunga durata, senza cedere all’ansia del risultato immediato e alle pressioni della piazza. E in questo, tranne alcune funamboliche domeniche, la Roma di Lucho presentava una filosofia nuova e più carattere di quella di Zeman. Il boemo è sempre lo stesso. Passano gli anni e non cambia, partita dopo partita. Con l’aggravante che ora se la prende con tutti, giocatori e giornalisti (oltre che con la Juventus), senza mai ammettere le propria responsabilità. Questo un vero condottiero non dovrebbe farlo.

Personalmente non rientro nella categoria degli antizemaniani che, secondo Francesco Costa, sono oggi a fregiarsi le mani e sostenere che avevano – avevamo – ragione. Sono invece tifoso della Roma e con sofferenza – ma nemmeno tanta perché quando si perde 4-2 in casa con il Cagliari e il portiere fa un autogol come quello di Goicoechea, si soffre anche meno – assisto all’ennesima débâcle in casa giallorossa. Pare, tra l’altro, che il quarto uomo avesse chiesto a Zeman se volesse il recupero oltre il novantesimo o preferiva chiudere sul punteggio di 4-1, il boemo abbia voluto tutti e cinque i minuti di recupero. E questo, se qualcuno vuole leggerlo come chi non molla mai e ci crede fino alla fine, io no. Piuttosto è mancanza di leadership. Perché è un gesto bello e sportivo, frequente nella pallacanestro, soprattutto negli Stati Uniti: quando il risultato è oramai acquisito, i giocatori lasciano addirittura la palla incustodita nel campo durante gli ultimi trenta secondi, cominciano a stringersi la mano e scambiarsi abbracci. Allora se la lettura è di quello che crede ai miracoli, conferma, a maggior ragione, quello che penso da tempo: Zeman è un fondamentalista.

Come ogni fondamentalista, è sempre convinto delle proprie ragioni e non cambia idea per nulla al mondo. E sempre come ogni fondamentalista, talvolta, viene meno a principi basilari del rispetto della dignità altrui – e su questo ha ragione Costa, come quando distingue tra tifosi e intenditori di calcio. Personalmente rientro decisamente nella prima categoria, ma avendo praticato sport a livelli agonistici ho potuto apprendere cosa significa sedere in panca mentre in campo c’è qualcuno che non meriterebbe nemmeno la tribuna gratis!

Perché la vicenda di Stekelenburg, portiere della nazionale olandese vicecampione del mondo, che fa panchina a un tale che avremmo potuto acquistare con una colletta popolare e che davvero Bersani potrebbe portare in dote al Bettola FC, è anche una vicenda di dignità e di umanità. E lo stesso dicasi per De Rossi, quando un giovane greco dalle buone speranze diventa titolare (quasi) inamovibile – anche se DDR, nell’interesse della Roma, sarebbe stato forse bene venderlo già da un pezzo. E ancora potrebbe dirsi di un giovane paraguaiano buttato nella mischia dal primo minuto della prima giornata del campionato italiano senza nemmeno un po’ di rodaggio. Alla fine, a pagarne le spese, in buona parte, per ora saranno gli stessi Goicoechea, Tachtsidis e (un po’ meno) Piris, sovra responsabilizzati a rischio di essere bruciati. Oltre, ovviamente, alla minore valutazione di mercato di Stekelemburg, De Rossi… e Burdisso!

Alla stagione della Roma rimane ancora la Coppa Italia; obiettivo non da poco considerato che si tratterebbe della decima coppetta, che significherebbe applicare il cerchietto tricolore sulle maglie, il primo in Italia, a garanzia di una bella operazione di marketing. E poi, in finale la Roma dovrebbe vedersela con i cugini laziali. Scusate se è poco.

Michele Camerota

Michele Camerota è di Scauri (Lt), laurea in scienze politiche, master in diritti umani, viaggia e lavora in quattro continenti come osservatore elettorale e affini. Saldamente legato alle sue origini.