Iverson, I Love You

Boston contro Philadelphia. Philadelphia contro Boston. Ieri, oggi, sempre, una delle grandi rivalità NBA (18 serie di playoff già in archivio, la 19esima in svolgimento). Trent’anni fa, ieri (23 maggio 1982), era stata una gara-7 di finale di conference, per un posto in finale NBA. Sul parquet incrociato del mitico Boston Garden vinsero i 76ers, gli odiati 76ers. Mai odiati quanto i Lakers, però, la squadra che li avrebbe attesi in finale. Per cui – quando la sconfitta ormai era cosa fatta (106-120) – il pubblico di Boston si produsse in un assordante “Beat L.A., Beat L.A.” indirizzato ai giocatori di Philly (perché si può sopportare di venire eliminati, ma non di vedere vincere quelli di Los Angeles).

E ieri, 23 maggio 2012, è andato in scena un altro capitolo a suo modo significativo di questa splendida rivalità. Stavolta a Philadelphia, stavolta in una semifinale di conference, stavolta in una gara-6, con i Sixers spalle al muro, sotto 2-3. Solo che, stavolta, il bello non è stato nei 48 minuti di partita, ma un attimo prima.
Un solo attimo.
Quello che è bastato ad Allen Iverson – il piccolo-grande uomo, il simbolo del basket di Philadelphia per un intero decennio, a cavallo del nuovo millennio – per entrare in campo a consegnare la palla della partita alla terna arbitrale, prima del via.

Aveva indosso la maglia dei “suoi” Sixers (il 23 di Lou Williams, il suo protetto di oggi). Aveva il berrettino girato alla rovescia. Aveva il “bling-bling” d’ordinanza, orecchini di diamanti e catena al collo. Aveva i suoi baggy jeans (con tanti saluti al dress-code NBA, ora che non è più uno dei 450 a libro paga). E, come ai bei tempi, quando impazzava in calzoncini&canotta, si è portato una mano all’orecchio, per far capire che non sentiva abbastanza rumore provenire dalle tribune. Balle, il casino era assordante, la gente impazzita, la città nuovamente ai suoi piedi.

Allen Iverson è tornato, anche solo per un attimo. Con – parole sue – i brividi a fargli compagnia appena prima di metter piede sul parquet e le lacrime pronte a sgorgare “se non mi fossi mosso a uscire velocemente dal campo”.
I suoi Sixers, forse non a caso, hanno vinto gara-6. E ora, sabato notte, andranno a Boston per
un’altra gara-7, senza domani. Contro i soliti Celtics. Come trent’anni fa. Come sempre.

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).