Jim Carroll: morto un altro 11 settembre

Poeta. Scrittore di diari (sarebbe un blogger, oggi?). Musicista. Autore.
Niente.
Il suo sito ufficiale quella parola non la dice.
(Tossico? No, non quella).
Giocatore.
Giocatore, sì. Di basket.
Si chiama o no “The Basketball Diaries” l’opera principale per cui Jim Carroll è ricordato?
Basta prenderli in mano, quei diari, e sfogliarne le prime pagine.
Non serve neppure andare lontano, perché iniziano proprio così.

“Oggi ho giocato la mia prima partita nella Biddy League ed è stato il mio debutto in un vero campionato di basket. È un fatto emozionante che mi fa provare entusiasmo per la vita”

Jim Carroll nasce a New York – non a caso, dove il basket è “the City Game”.
Jim Carroll muore a New York – non a caso, in un altro undici settembre, del 2009.
Otto anni dopo. Un anno fa.
In mezzo una vita, folle, che lo ha visto promessa di tutto, dalla letteratura (“A tredici anni, Jim Carroll scrive meglio dell’ottantanove per cento dei romanzieri di oggi”, secondo Jack Kerouac) alla musica (andate a cercare “Catholic Boy”). E poi del basket, anche se nessuno sembra ricordarsene.

Eppure basta leggere un paio di passaggi dei suoi diari:

“Avevamo una squadra buona, quasi tutti ragazzi dei nuovi caseggiati, ma il regolamento vieta di lasciar giocare studenti dell’università. Così è andata in fumo la possibilità di impiegare Lewie Alcindor anche se è uno del quartiere come tutti gli altri. Che cazzo, dico io, quasi tutte le squadre hanno dei fuori quota, ma è un po’ difficile far entrare di nascosto una mezza montagna alta due metri come lui”

“Io vado a scambiare quattro chiacchiere con qualche amico, Vaughn Harper, un All-American del Boys High, e Earl Manigault, una leggenda di Harlem sotto il metro e ottanta di statura capace di prendere una moneta da mezzo dollaro da sopra l’architrave di una finestra [sic, sarebbe il lato alto del tabellone, ndb]. Entra ed esce di squadra in continuazione per via di problemi di droga e altre stronzate. Insieme con Lew, sono i migliori giocatori di liceo della città”.

Due nomi. Lewie Alcindor e Earl Manigault. Del secondo, anni dopo, il primo dirà: “Il più forte giocatore che io abbia mai affrontato”. Nel frattempo – abbracciato l’Islam – il giovane Lewie era diventato per tutti Kareem Abdul-Jabbar, ed era diventato pure il miglior marcatore nella storia della NBA.
Ma entrambi avevano iniziato sui campetti di New York insieme a Jim Carroll.

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).