Romulo e Sofia Coppola

Provinciali. Ecco quello che siamo. Una volta di più. Perché andiamo a vedere il nuovo film di Sofia Coppola, registriamo che l’ha voluto intitolare “Somewhere” e – chissà come, chissà perché – ci mettiamo in testa che quel luogo, “da qualche parte”, sia qui da noi. La nostra Italia. La nostra TV. I Telegatti. Le nostre ballerine-presentatrici-showgirl. Non si parla (quasi) d’altro, nelle recensioni.
È permesso dissentire?

Senza entrare nel merito del film (bello? Brutto? A ognuno il suo giudizio), tutto quello che chiedo è di poter attirare l’attenzione su un altro “somewhere”, su un altro luogo molto meno indefinito di quello del titolo, e su un’altra comparsata, certo meno glamour delle “nostre”, tutte paillettes & tacchi a spillo.
Il posto è conosciuto, conosciutissimo. Celebre, addirittura. Si trova a Los Angeles, all’8221 di Sunset Boulevard, sotto l’insegna “Château Marmont”.
Il cammeo, invece, rischia di passare inosservato. E sarebbe un peccato.
Perché Romulo è un gran personaggio, e non è certo finito nel film per caso.

Romulo è Romulo Laki. Chi sia non ve lo racconto io, ma lascio che a farlo sia A.M. Homes, voce affermata della letteratura americana contemporanea, che nel 2002 pubblicava “Los Angeles: People, Places, and the Castle on the Hill” (Los Angeles, per Feltrinelli). Il “castello sulla collina”, ovviamente, è lo Château, e come ogni castello che si rispetti custodisce le sue storie. Come quella di Romulo.

La sera prima di partire da Los Angeles, chiamo la reception e chiedo all’impiegato di farmi uno squillo se Romulo, il cameriere del turno di notte, si mette a cantare. Per anni ho sentito parlare delle interpretazioni improvvisate con le quali Romulo si esibisce di notte, ma non sono mai riuscita a stare alzata sufficientemente a lungo da assistervi.Alle 2.30 del mattino squilla il telefono, strappandomi a un sogno.
“Spero di non averla svegliata” dice il tizio della reception. “Ho pensato che sarebbe rimasta alzata fino a tardi a scrivere”.
Gli assicuro che va bene, nonostante fossi profondamente addormentata.
“Romulo sta cantando” dice.
“Scendo subito”.
Romulo Laki è il cameriere che fa il turno dalle ventidue e trenta alle sei e trenta del mattino. È allo Château da quindici anni. In genere lo vedo solo di sfuggita, arriva quando io sto andando a cena e poi a letto. Si dice che sia la persona che conosce tutte le storie, è lui che sta sveglio tutta la notte, che vede tutto, che sa esattamente quello che succede e dove, dopotutto è lui che porta gli spuntini. Quando si fa tardi e le cose sono tranquille, tira fuori la sua chitarra e comincia a cantare. Lo trovo nella hall, circondato da un gruppo di giovani leggermente ubriachi. Canta Country Road di John Denver, seguita da As Tears Go By dei Rolling Stones, una canzone che Mick Jagger scrisse molto tempo fa per Marianne Faithfull e che trovo estremamente toccante, perché di tanto in tanto mi è capitato di vedere Marianne qui in albergo. Romulo rappresenta una sorta di continuità; c’è anche molto da dire a proposito dei suoi capelli neri: sono veramente suoi o sono spruzzati di colore per riempire i vuoti dovuti all’età? Continua con un assortimento di Elvis e poi chiede se ci piacerebbe ascoltare una canzone che ha composto lui stesso, una canzone d’amore in spagnolo. È come se stesse cantando per far addormentare gli ospiti, offrendo loro una ninnananna che viene presa come un segnale per rilassarsi, per concludere la serata; infatti firmano i loro conti e barcollano fino al letto.

Così, in “Somewhere”, barcollano a letto Johnny Marco (Stephen Dorff) e la piccola Cleo (Ellen Fanning) proprio come anni fa – parola di Philip Pavel, il general manager dell’albergo – barcollavano a letto papà Francis e la piccola Sofia, che ancora oggi ricorda Romulo Laki dedicarle una dolce “Teddy Bear” alla sua chitarra. “Credo che questo sia ciò che rende lo Château un posto speciale”, conclude Pavel. “Ci si sente a casa. Ci si sente sicuri”.

E magari si apprezza di più anche un film. Alla faccia dei Telegatti.

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).