Il Post Game del Post / gara 5

BOSTON – Qui si fa bella, ma bella davvero… Per la prima volta nella serie una squadra – i Celtics – vince per due volte in fila, trascinata dai 27 punti di Paul Pierce. Il successo di Boston (3-2) mette L.A. spalle al muro: il fattore campo è ancora a favore dei Lakers, che ora però non possono più sbagliare. Martedì notte, in gara-6, primo match point Celtics.

Chi c’era…

Per la quinta gara, l’ultima a Boston, tra le facce note a bordocampo anche quelle di Usain Bolt e Spike Lee.

Beat L.A., Beat L.A.!

Se nel weekend del basket i Celtics se la vedevano con i Lakers, nel baseball i Red Sox ospitavano i Phillies per tre sfide consecutive – venerdì, sabato e domenica. Vinte le partite di venerdì e sabato, “Il Post” era sugli spalti di Fenway Park per la partita domenicale, poche ore prima di gara-5. È arrivata l’unica sconfitta della mini-serie, ma il pubblico di Boston è sembrato avere altro a cui pensare: nel corso dei 9 inning, il coro più assordante è stato il classico “Beat L.A., Beat L.A.” creato dai tifosi dei Boston Celtics durante le sfide degli anni ’80 e ripetuto a squarciagola in attesa della quinta sfida contro i Lakers.

Personaggi/1

Si chiama Vic Jacobs, lavora per una radio losangelina (KLAC) ed è il giornalista più facilmente riconoscibile di queste Finali NBA (indipendentemente dall’accredito che gli pende dal collo). La sua divisa di “lavoro”, infatti, è ormai un classico di ogni post-game dei Lakers: colbacco di pelo, occhiale da sole con montatura bianca e una sorta di “plaid” gialloviola che lo copre da capo a piedi. Colorito il guardaroba, colorite anche le domande, spesso formulate con grande enfasi in uno “spanglish” tutto personale. Ma guai a sottovalutare il Jacobs: nonostante la residenza sulla West Coast, il signore vanta natali newyorchesi e una laurea in comunicazione a Cornell, ateneo della Ivy League. Poi qualcosa dev’essere andato storto…

Personaggi/2

Il tifoso n°1 della NBA. Ma anche il vero personaggio culto di queste (e di ogni) Finali NBA. Lui è Jimmy Goldstein, misterioso multimilionario che sul suo biglietto da visita ha scritto “basket, architettura e moda” come attività principali. Qualsiasi la partita, qualsiasi il prezzo da pagare per stare in prima fila, Jimmy c’è, sempre accompagnato da modelle mozzafiato (l’ultima una fanciulla di nazionalità russa sotto i 20 anni) e da guardaroba che sono un inno alla creatività individuale (classico il cappello a tesa larga, il pantalone di pelle nera e lo stivale pitonato ai piedi). Amico personale del commissioner David Stern, conosce tutti i giocatori NBA e tutti i giocatori vogliono conoscerlo. Il numero uno. E con distacco.

Noi siamo i Celtics

E queste cose non le facciamo, che mica ci si vende alle logiche del mercato. A Boston si gioca a basket, come si faceva una volta – tanto che la maglia dei Celtics è sostanzialmente sempre quella dal 1946, anno in cui venne alzata la prima palla a due NBA (Boston è una delle poche franchigie presenti nella Lega fin dal primo giorno). Fino a 5 anni fa nel Massachusetts non vedevate neppure la mascotte o le cheerleader – orpelli inutili alla sacralità del gioco – ma alla fine hanno dovuto cedere, e così oggi nei time-out delle partite si gioca e si balla anche al TD Garden. Che del vecchio Boston Garden, lo storico campo casalingo, ha adottato anche il celebre parquet incrociato, per mantenere il più possibile intatta una certa atmosfera. Ma quelle due lettere (TD) sono lì per via della sponsorizzazione di una banca locale, perché i soldi del “naming” oggi non si possono mica regalare. Maledetto business…

Gino Time!

Due vittorie su tre a Boston, due possibilità di ballare e divertirsi con Gino. Quando il successo dei Celtics è sicuro, infatti, sul maxischermo del Garden parte questo vecchio filmato di una trasmissione musicale popolarissima negli anni ’60 e ’70 (American Bandstand) il cui assoluto protagonista è… Gino. O meglio: Gino è quello che c’è scritto sulla sua maglia, celebrativa del tour compiuto nel 1976 da Gino Vannelli. Il personaggio – ormai adottato da tutti i tifosi – ha il look d’ordinanza dei seventies, con tanto di maglia attillata,  pantalone a zampa e movenze classiche da disco-dance. Il suo ballo è diventato sinonimo di vittoria, la sua maglia – due anni fa, ai tempi della vittoria 2008 – la più ricercata in città, esibita anche da Kevin Garnett e compagni nella parata cittadina di celebrazione dell’anello. A seguito di questa improvvisa popolarità, dopo infruttuose indagini del locale Boston Globe, il Wall Street Journal è riuscito a identificare il ballerino del video (Joseph R. Massoni) scoprendo, purtroppo, che era venuto a mancare ancora nel 1990, a soli 34 anni.

Mauro Bevacqua

Nato a Milano, nel 1973, fa il giornalista, dirige il mensile Rivista Ufficiale NBA e guarda con interesse al mondo (sportivo, americano, ma non solo).