La matematica è una scienza?

Il mese scorso il matematico israeliano Doron Zeilberger ha pubblicato su arXiv un articolo intitolato What is Mathematics and What Should it Be? con alcune idee a prima vista eversive. Tanto per fare qualche esempio, comincia affermando che in meno di 50 anni la matematica sarà quello che faranno i matematici macchine, e che oggi la matematica non è una scienza, ma tutt’altro; (a) una religione con la sua dottrina e i suoi dogmi, (b) un gioco con le sue regole spesso arbitrarie, (c) uno sport (intellettuale) competitivo, (d) un’arte con le sue regole rigide. Vi invito a leggere questo articolo, prima di proseguire con i miei commenti disincantati: di matematica non ne saprò poi tanta, ma con gli anni ho almeno acquisito alcune basi di filosofia della matematica…

La prima cosa che salta all’occhio, almeno a me, è la dedica dell’articolo: “A Reuben Hersh per il suo novantesimo compleanno”. Hersh ha proseguito la linea iniziata da Leopold Kronecker (“Dio creò i numeri interi, tutto il resto è opera dell’uomo”) e continuata da Luitzen Brouwer e gli intuizionisti (“Non possiamo usare l’infinito per dimostrare alcunché”), una linea in netta contrapposizione alla tradizione degli ultimi due millenni e mezzo, che vede gli enti matematici avere una propria realtà, ancorché non tangibile: la visione platonista della matematica. Hersh invece, come da titolo di uno dei suoi libri più famosi, parla di esperienza matematica: sono i matematici a creare man mano la matematica, seguendo le linee di esplorazione e ricerca di quanto appare loro interessante. Questo tipo di approccio non è a priori sbagliato: probabilmente è anzi preferibile per il primo contatto con la matematica per i bambini, e per esempio Eugenia Cheng lo usa con ottimi risultati quando insegna agli studenti di materie umanistiche. Ma questo non significa che sia l’unico modo da scegliere!

Continuando a leggere l’articolo di Zeilberger, troviamo la sezione “Breve storia della matematica come una successione di tentativi (senza successo!) di rispondere a domande stupide”. Quali sono queste domande stupide? La dimostrazione del postulato delle parallele, i tre problemi classici della geometria greca (trisezione dell’angolo, duplicazione del cubo, quadratura del cerchio), la soluzione per radicali di un’equazione di quinto grado, l’ipotesi del continuo, la consistenza degli assiomi che usiamo in matematica. A parte quest’ultimo problema, se vi ricordate ancora la matematica delle superiori sapete che tutti gli altri hanno una risposta ben definita, solo che è negativa. Il quinto postulato è indipendente dagli altri assiomi euclidei esattamente come l’ipotesi del continuo è indipendente dagli altri assiomi matematici, non è possibile trisecare un angolo generico o fare le altre due costruzioni con riga e compasso, le quintiche non sono generalmente risolvibili se non introducendo le funzioni ellittiche. È chiaro quindi che Zeilberger sta giocando con le parole. Il primo punto è la definizione di “insuccesso”. Se si dimostra che una cosa non è possibile, abbiamo ottenuto un insuccesso? È un insuccesso scoprire che non è possibile accelerare un oggetto a una qualunque velocità, per fare un esempio indubbiamente scientifico? Direi proprio di no: sappiamo semplicemente una cosa in più, ed eviteremo di cercare di farlo. Ma non è quello il vero punto di Zeilberger! Quelo che gli dà davvero fastidio l’ho accennato sopra: tutti questi risultati sono impossibili con le regole del gioco nate con i greci. Una riga graduata permette di trisecare angoli e duplicare cubi; non si vede perché accettare le radici quinte ma non le funzioni ellittiche, né cosa ci sia di male a fare geometria usando un postulato in più.

La domanda da farci è un’altra: cosa vogliamo fare, in effetti? Se ci serve solo fare un disegno, è assolutamente irrilevante sapere costruire geometricamente la radice cubica di 2; un valore calcolato manualmente a due cifre decimali è più che sufficiente. Quello che Zeilberger afferma implicitamente è che questo che ho appena citato è l’unico vero modo di fare matematica. Non ci credete? Bene, devo confessare che ho saltato due delle “stupide domande” trattate nel suo articolo. La prima è molto tecnica, sul decimo problema di Hilbert (forse avete sentito parlare di Julia Robinson), e il guaio è stata la risposta “non è possibile trovare un algoritmo che decida sempre se ci sono soluzioni” (un tabù per gli intuizionisti, perché gli algoritmi possono solo essere finiti), ma la seconda è illuminante: «trovate una fondazione “rigorosa” al calcolo differenziale e integrale non rigoroso di Newton e Leibnitz.» Certo: perché Zeilberger, che è un combinatorista, afferma esplicitamente che l’analisi reale è solo un caso degenere di quella discreta. Certo, sul continuo persino io ho dei dubbi (e prima o poi continuerò questo post…) ma non è che puoi uscirtene così “basta avere un h minimo, come quello della costante di Planck, e lavorare sulle equazioni alle differenze che sono molto più semplici delle derivate”. Certo, è vero che il calcolo differenziale ed integrale nasce per risolvere problemi fisici e il mondo fisico si direbbe comportarsi bene anche immaginandolo discreto; ma il vero problema non è quello posto da Berkeley bensì quello di Fourier con il suo sviluppo in serie, che nasce da un problema assolutamente fisico come la conduzione del calore. Se vogliamo fare un’onda quadra fisica non ci riusciamo, abbiamo sempre degli errori vicino alle transizioni di stato, e purtroppo gli errori sono dalla parte sbagliata, nel senso che più la funzione assomiglia a un’onda quadra più ci sono picchi parecchio superiori al massimo teorico. Come li gestisci con un sistema finito?

In realtà dal punto di vista degli antichi greci non c’era nulla di strano. Siamo noi moderni ad avere cambiato il significato di scienza, che ora parte dagli esperimenti per giungere a produrre teorie che verranno considerate vere fino a che non ci saranno nuovi esperimenti che richiedano di modificare le teorie. E secondo me Zeilberger non si è nemmeno accorto, nella sua divagazione su come Del Ferro e Tartaglia hanno risolto le equazioni di terzo grado (leggetela, perché è davvero ben fatta), che quell’accoppiata di trucco e di wishful thinking era esattamente quello che facevano babilonesi ed egiziani che lui tanto ama. Anche altri punti del suo articolo sono condivisibili, anche se per ragioni opposte alle sue. Per esempio, mi sta benissimo dire che la matematica odierna è una religione; al più direi un insieme di religioni, basti pensare agli eretici che decidono di rifiutare il dogma… ehm, l’assioma della scelta. O anche, concordo che la matematica odierna sia spesso uno sport, il che è probabilmente la ragione per cui non mi sono mai messo a farla seriamente: odio perdere 🙂 Non so se sia vero che la matematica oggi è un club elitista ed esclusivo, dove ci sono quartieri bene e ghetti; su quello lascio la parola ai veri matematici. Sicuramente, mentre possiamo discutere se la formula di Ramanujan

(in realtà questa dovrebbe essere una generalizzazione della formula originale) sia più o meno “bella” della formula di Eulero e+1=0, è certo che entrambe, e non solo la seconda, sono delle tautologie: a questo proposito vorrei ricordare come gli ingegneri trattano 1+1=2. E sono completamente contrario alla sua affermazione che la matematica dovrebbe ripartire da zero ed essere fatta per mezzo dei computer. (Ah, avete notato che Zeilberger insinua di nuovo il suo approccio finitista? Tecnicamente si può anche fare algebra simbolica con un calcolatore, ma non è questo che vuole. Cito: «Se una domanda matematica è in dubbio (e sembra possa risultare vera, falsa o senza senso (cioè ‘indecidibile’)), allora è una domanda matematica. Se c’è una schiacciante evidenza empirica e/o euristica, allora è un teorema. Quello che fino a oggi è stato chiamato teorema dovrebbe essere rinominato ‘affermazione provata rigorosamente’ [usando il gioco artificioso della deduzione logica].» Perché? È chiaro. In pochissimi sarebbero interessati a studiare affermazioni euristicamente vere, se le chiamiamo in quel modo. Ma se con un artificio di neolingua queste diventano “teoremi”, volete mettere il valore aggiunto?

In definitiva, va bene non fossilizzarci su una struttura che ci è stata insegnata a scuola manco fosse la Bibbia, ma evitiamo di finire ad accettare supinamente il punto di vista opposto. La matematica non è una scienza, perché funziona in modo diverso; ma non significa che sia meglio o peggio, ma solo qualcosa di diverso.

Maurizio Codogno

Matematto divagatore; beatlesiano e tuttologo at large. Scrivo libri (trovi l'elenco qui) per raccontare le cose che a scuola non vi vogliono dire, perché altrimenti potreste apprezzare la matematica.