Occupy Fumetto

Sarò condizionato dalla fumettofilìa, ma di tutte le notizie lette a proposito di Occupy, le più paradossali mi sembrano quelle che hanno coinvolto due fumettisti statunitensi.

1) La prima è Susie Cagle, figlia d’arte (suo padre è Daryl Cagle, cartoonist per MSNBC.com) arrestata a Oakland il 3 novembre con altre 102 persone. Cagle era sulla scena come giornalista, impegnata a seguire le azioni del movimento per un progetto di comics journalism (finanziato tramite la piattaforma di crowdfunding giornalistico spot.us).

Il paradosso nasce con l’arresto, avvenuto nonostante la disegnatrice avesse fatto in tempo a mostrare alla polizia il badge stampa; inoltre, un poliziotto l’avrebbe persino riconosciuta: ne conosceva i fumetti. Niente da fare. Ma il suo compimento avviene poco dopo: nella lista dei giornalisti arrestati durante i vari Occupy, compilata giorni fa dalla Associated Press, il suo nome non c’era. Per la serie: se disegni, non c’è badge giornalistico che tenga. E la Cagle si è trovata così a fare i conti con un problema di identità professionale, cui ha dedicato un accorato invito a non semplificare: essere giornalisti e fumettisti, insieme, non può essere – non nel 2011 – un problema di credibilità.

2) Il secondo è invece un protagonista del fumetto mondiale come Frank Miller. Che è riuscito a coprirsi di ridicolo con un disprezzo per i manifestanti (definiti in un post sul suo sito “branco di zoticoni, ladri e stupratori”) oltre i confini del volo pindarico: “Svegliatevi, feccia putrida. L’America è in guerra contro un nemico spietato. Forse avrete sentito – tra un momento di autocommiserazione e di narcisismo che vi godete nei vostri mondi comodi e sicuri – termini come al-Qaeda e islamismo”. Poche settimane fa era uscito il suo nuovo graphic novel Holy Terror, tanto ben disegnato quanto venato di un interventismo anti-islamico gretto e vendicativo, e per questo largamente stroncato.

Ovviamente molti autori lo hanno duramente criticato. Fra questi Ann Nocenti, la più apprezzata ex-sceneggiatrice di Daredevil – la serie che lanciò Miller – degli ultimi 30 anni. Altri hanno creato parodie dei suoi fumetti più celebri (come questa o questa). Altri ancora lo hanno difeso, come Mark Millar (l’autore di Kick-Ass) o Neil Gaiman, ricorrendo al saggio argomento per cui è bene separare i giudizi politici da quelli artistici. Ma per Miller e i suoi lettori questa ‘sparata’ ha significato affrontare a viso aperto, ancor più che in passato, il dibattito sul ‘fascismo’ nella sua opera. Andando così a rispolverare uno pseudo-tabù della critica, di rado sollevato a proposito del suo capolavoro Batman: Dark Knight returns.

Provando però a tenere insieme questi due casi, quantomai diversi, credo si possa fare una – paradossale, naturalmente – riflessione.

Mi pare infatti che Occupy, per il fumetto, da argomento di attualità – per quanto ‘caldo’ – si sia trasformato in un inatteso boomerang. Un fenomeno che ha fatto tornare alcuni nodi al pettine: il problema della credibilità, e quello dell’ideologia.

Nodi antichi, per un medium che ha vissuto, nel corso della sua storia piena di contraddizioni, relazioni tanto faticose con la sfera pubblica. Sia in un senso (la controversa percezione da parte di media e istituzioni) che nell’altro (un ricorrente e talvolta insistito escapismo). E nonostante il fumetto viva oggi una fase “artisticamente felice”, continua talvolta a oscillare tra sottovalutazione culturale ‘subìta’ (vedi Cagle) e una certa superficialità politica ‘voluta’ (vedi Miller). Un po’ come accadeva un tempo. Il che forse è inevitabile: le vecchie questioni irrisolte – come sempre – riemergono dal confronto con i fenomeni nuovi. Come Occupy.

Matteo Stefanelli

Studioso di media, consulente editoriale e fumettologo. Lavora presso OssCom - Università Cattolica. Gli piace Milano, viaggiare e usare avverbi come Fumettologicamente