5 ragioni per amare Miley Cyrus, che oggi compie 25 anni

La voce
La prima ragione per cui Miley Cyrus è una cantante diversa dalle infinite Ariana Grande che il pop americano produce e coccola, è la voce. I cantanti in assoluto, e le cantanti in particolare, tendono da molti anni a essere delle macchine del fraseggio, delle virtuose dell’abbellimento, molto più vicine a una soprano händeliana che a una voce pop concepita per trasmettere emozioni. Nell’r&b e in genere nel pop americano è diventato fondamentale prima di tutto essere intonati come dei computer, come dei citofoni, senza tentennamenti. Secondariamente bisogna saper gestire le fioriture. Le fioriture del pop statunitense vengono da molto lontano, ma diciamo che ci sono tappe fondamentali che le hanno portate fino a noi: Stevie Wonder e alcuni sui dischi seminali degli anni Settanta, i virtuosismi rococò di Minnie Riperton, la consacrazione mainstream del fronzolo da parte di Whitney Houston. Queste fioriture sono ormai ovunque, e rendono lo stile delle cantanti del pop statunitense sempre più atletico, virtuosistico, da talent show, e sempre meno espressivo e musicale. Questa è una gara alla quale Miley non partecipa.
Come è evidente quando la si sente cantare qualsiasi cosa, Miley Cyrus è una grande cantante che ha ben chiara la regola che per altri è invertita: prima cantare, poi eventualmente abbellire. Fare a fette una cantante per pesare ciascuna qualità è una pratica svilente, ma quando si fa in positivo è concesso: Miley ha un timbro, un’estensione, un controllo e un’espressività che quasi tutte le altre voci del pop contemporaneo si sognano. E poi parla e canta fin dall’adolescenza in un registro grave, profondo e spesso, che è quello delle grandi interpreti adulte. Sarà che è di Nashville, sarà il dna, ma tutto lascia pensare che quella voce nel corso degli anni darà frutti sempre migliori.

Un piccolo album fotografico

Il modo
Esiste un modo di essere una cantante – vale più per le femmine che per i maschi per via del solito inscatolamento dell’identità femminile – che prevede degli atteggiamenti che rendono il pop prevedibile e involuto. In questo senso alcune star del pop somigliano a grandi soprano, e forse anche un po’ a Evita Perón: lo stupore, l’emozione, i fiori accettati con un filo di modestia, gli inchini commossi, l’intensità. Madonna, che è stata la popstar donna più importante per un periodo abbastanza lungo, ha smontato questo cliché mettendoci irriverenza, simpatia controversa, seduzione, ma non ha rinunciato alla favolosità. La favolosità, quel misto di distanza, eleganza e polverina magica, è quello che accomuna Beyoncé, Madonna, Aretha Franklin, Mariah Carey (“I don’t do stairs!”): è il punto di equilibrio del divismo, tra irresistibile e irraggiungibile, che fin dai tempi del cinema muto è un ingrediente fondamentale dello star system. Ecco. Miley non ce l’ha. Miley è facile, accessibile.
Nell’accessibilità di Miley c’è una differenza sostanziale che la avvicina più a un’artista indipendente che a una superstar del pop industriale. In questo è la cantante perfetta dell’epoca della disintermediazione, che è una parola orrenda che significa che tra noi e quello che ci piace/serve non ci sono più ruoli, istituzioni e grande industria. Mentre Lana Del Rey gioca a reinterpretare ancora una volta quel personaggio, infarinandosi nel mito dell’attrice splendida e malinconia di un noir degli anni Cinquanta, Miley è lì, tangibile, senza posizionamenti.

L’uscita dal gruppo
Miley inizia la carriera da bambina, è nello spettacolo da subito, ma il momento in cui diventa una stella internazionale è quello in cui interpreta il ruolo di Miley Stewart nella serie per ragazzini Hannah Montana: 4 stagioni e 98 puntate su Disney Channel che la rendono l’adolescente più amata dai piccoli americani, una celebrità per famiglie, rassicurante e affidabile. Nella serie, Miley Stewart è una ragazza normale, se non fosse che è anche la famosissima cantante Hannah Montana. Questo fa di Miley Cyrus la cantante sul palco, la compagna di banco a scuola, idealmente anche “la migliore amica di nostra figlia” per milioni di genitori. Succede però che Miley decida di uscire da questo ruolo Disney, e lo faccia come quella volta John Frusciante, fregandosene della priorità acquisita, ribaltando il tavolo. Con il video di “Wrecking Ball”, leccando una mazza ferrata, Miley diventa l’artefice della propria fortuna. L’album Bangerz la porta in tour in giro per il mondo. Anche se non è niente di che come disco, ha qualche singolone che funziona, e fa conoscere al pubblico un’artista in metamorfosi. Durante l’ultima fase di questo tour già matto di suo, con nane, trampolieri e falli giganti, Miley comincia a ospitare sul palco un musicista che presenta come il migliore al mondo, e che in genere il suo pubblico non conosce: è Wayne Coyne dei Flaming Lips. Insieme alla band psichedelica di Oklahoma City, Miley attraversa una fase di assoluta estasi collaborativa. Canta nella loro versione di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, ma soprattutto registra un disco a suo nome. Nel 2015, mentre saluta sui titoli di coda alla fine degli MTV Music Awards che ha appena condotto, Miley annuncia che in quel momento sul suo sito sarà disponibile gratuitamente Miley Cyrus & Her Dead Petz. Il disco è storto, fascinoso, inafferrabile, adagiato sui campi di marijuana fumati da Miley & friends in quel periodo, ma libero e sfrontato come non se ne vedevano da decenni nel pop generalista.

L’impegno
Miley Cyrus non è e non sarà mai Taylor Swift. Al di là delle questioni di gusto, Miley non è pensata per un pubblico di adolescenti bianche incastonate felicemente nei propri stereotipi di genere, razza, estrazione sociale. Miley non parla dell’essere una popstar nelle sue canzoni, né risulta apparecchiata nel sistema dell’intrattenimento industriale americano come la sua collega stangona.
Miley ha messo in piedi una fondazione che si chiama Happy Hippie e raccoglie principalmente fondi per giovani LGBT che hanno abbandonato la famiglia o ne sono stati cacciati, e vivono in situazioni difficili. Happy Hippie, come dice il nome, non è un’attività di beneficenza che gronda senso di colpa e sofferenza esibita. Anzi, è una delle poche charity allegre che esistano: si impegna ad aiutare le persone, non le vittime. È una differenza apparentemente sottile, ma importante.
Ecco una situazione Happy Hippie.

Il corpo
Miley è un’artista del sud, dell’America tradizionale, molto più vicina a Dolly Parton che a una startup di San Francisco, che ha deciso di liberarsi del giogo del corpo fascinoso. Da quando ha una carriera adulta, Miley usa il corpo e il sesso non come i soliti strumenti di seduzione collettiva, ma piuttosto come giocattoli pornografici militanti. L’identità del suo corpo in tv, nei video e sul palco, non è mai allusiva o sottilmente attraente, ma sempre esplicita. In questo Miley smonta l’estetica femminile imperante sia nei media pop, che si aspettano bellezza e sobrietà, cosce fuori e racconti di una vita morigerata, sia di quella del rock o del porno, che tendenzialmente si aspetta una certa rapacità sessuale. Miley invece quando è nuda tende a esserlo molto, ma resta sempre lontana dal registro del flirt.
Un esempio tipico di questo modo di vivere il proprio corpo pubblico è il momento in cui Miley decide di far notare al pubblico americano quanto sia assurdo il divieto di mostrare il seno femminile in pubblico e in tv, che si concretizza nel divieto di esibire o rappresentare i capezzoli. Così Miley va ospite da Jimmy Kimmel con una mantellina che le copre le spalle, petto e pancia scoperti, e una copertura per i capezzoli. Il risultato è inquietante tanto per il conduttore quanto per il pubblico, anche perché non rientra nelle stranezze da artisti alla Lady Gaga, che hanno senso più per lei che per gli altri. Anzi, Miley ne parla, ridendo, mentre Kimmel ride e si imbarazza con il pubblico.
Questo è il tipo di apparizione che qualsiasi consulente di immagine e marketing vedrebbe come troppo confusa, troppo difficile da interpretare, soprattutto per un’artista popolare del Tennessee. Ed è anche per questo, per il suo vivere il successo come uno spazio di libertà e indipendenza ideologica, allegro, leggero e universale, che Miley va amata sempre. Anche quando si rifidanza, si riappacifica col mondo e pubblica un disco come l’ultimo, Younger Now, che ha qualche bel momento ma ci lascia interdetti: sempre lì ad aspettare quel discone rivoluzionario che prima o poi – ne sono certo – arriverà. Tanto c’è tempo.

Matteo Bordone

Matteo Bordone è nato a Varese negli anni della crisi petrolifera. Vive a Milano con due gatti e molti ciclidi. Lavora da anni a Radio2 Rai e a volte in televisione. Scrive in alcuni posti, tra cui questo, di cultura popolare, tecnologia, videogiochi, musica e cinema.