La strage di Orlando e la fine di Internet

Ha destato molta impressione in USA la notizia secondo la quale l’assassino di Orlando, Omar Mateen, nelle tre ore durante le quali si applicava alla mattanza dentro il Pulse, di tanto in tanto controllasse su Internet le reazioni al suo gesto. Una simile notizia del resto ha un potere distorsivo fortissimo. Ad alcuni fa pensare immediatamente al delirio narcisistico nel quale Internet ci ha fatto sprofondare tutti, ad altri verrà spontaneo domandarsi come sia possibile che un tizio qualunque, mentre spara a sangue freddo ad un centinaio di persone, possa trovare il tempo e l’agio per dare un’occhiata ai social network nell’attesa di essere a sua volta (tardivamente) ucciso.

Internet forse morirà anch’essa nel prossimi anni per colpa di due tipi di persone: per colpa di quelli che ne hanno intuito le potenzialità comunicative per veicolare indisturbati qualsiasi messaggio d’odio e per colpa di quelli che pensano che l’unica soluzione possibile ad una simile inconcepibile apertura sia controllare tutto e tutti alla ricerca di un grado minimo di sicurezza.

Fra questi ultimi ci sarà sicuramente il senatore repubblicano Ron Johnson che presiede la Commissione del Senato sulla Sicurezza Nazionale, il quale qualche giorno fa ha confezionato una circostanziata letterina a Mark Zuckerberg nella quale chiede a Facebook di fornire al Comitato tutte le informazioni disponibili sull’assassino di Orlando entro e non oltre il prossimo 29 giugno.

Nella lettera, tra le altre cose, Johnson chiede se sia vero che, prima e durante il massacro di Orlando, Omar Mateen abbia fatto ricerche sul Pulse e sulla sparatoria per raccogliere reazioni online alla sua azione assassina. Domanda inoltre Johnson se sia vero che Mateen nelle settimane precedenti abbia scritto in rete che Russia e America dovrebbero smettere di bombardare lo stato islamico e che sempre Mateen abbia cercato in rete alcuni discorsi di al Baghdadi.

Il pensiero del senatore repubblicano e di molti politici in tutto il mondo è del resto piuttosto trasparente: Facebook e Internet in genere sono complici dei terroristi che utilizzano la rete per i proprio scopi propagandistici e di indottrinamento. Facebook e Internet in genere non fanno abbastanza per sradicare una simile piaga. Per estensione del concetto se Facebook e Internet non esistessero anche il terrorismo dell’ISIS e un sacco di altri problemi scomparirebbero in un puff.

Secondo il senatore Johnson probabilmente Facebook, che ha attualmente circa 1,3 miliardi di utenti in tutto il mondo, dovrebbe essere sufficientemente intelligente per allertare la polizia appena un presunto terrorista pensi di compiere un attentato o almeno quando costui scriva da qualche parte in rete “Pulse shooting”. Diversamente, se questo non accadrà, Facebook dovrà essere ritenuto almeno in parte responsabile di un simile massacro, per essersi incarnata in piattaforma di diffusione del male e per non essere stata in grado di evitare il massacro con qualche riga di codice ben scritto.

Come moltissimi dei politici che oggi imputano a Internet ogni nefandezza il senatore Johnson è un moralista a tutto tondo. Cattolico antiabortista, a suo tempo vicino ai Tea Party, contrario all’assistenza sanitaria per tutti, disse qualche anno fa che il riscaldamento globale era una teoria un po’ lunatica e che comunque il fenomeno non dipendeva dalle attività umane.

Soprattutto il senatore Johnson, che oggi chiede celeri spiegazioni a Facebook sulla strage di Orlando, è un fiero oppositore di ogni controllo sulle armi e cofirmatario di una disegno di legge che intende proibire al Dipartimento di Giustizia di tracciare chi acquisti più di un fucile o una pistola.

Internet forse morirà nei prossimi anni per colpa di gente come Omar Mateen e di gente come Ron Johnson e quel giorno non ci resterà molto da dire se non che in fondo, per una ragione o per un’altra, ce lo saremo meritati.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020