Being Gasparri

I social network sono moltiplicatori di sarcasmo. È uno dei loro limiti più evidenti. Moltiplicano il sarcasmo (uso questo termine al posto di “ironia” perché il sarcasmo ha capacità virali più spiccate, è più grezzo ed immediato) per proprie motivazioni costituzionali.
Fondamentalmente perché i social network sono troppo veloci: facilitano il riflesso e posticipano il ragionamento. E quando le nostre piccole teste realizzano l’eventuale errore ormai è troppo tardi. Quelle parole che adesso vorremmo far tornare indietro sono state ripetute cento volte da altri. Altri che hanno percorso il nostro medesimo rapidissimo arco riflesso. E che forse, come noi, in questo momento, si stanno pentendo di aver partecipato alla fiesta.

Credo che sia questa la ragione per cui molte persone intelligenti smettono di parlare sui social network. Continuano a leggere quello che trovano su Twitter o Facebook ma smettono di intervenire. Non è che con questo il loro sarcasmo (se ce l’hanno) improvvsamente scompaia ma intanto viene celato e soprattutto smette di fare danni.

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Io non sono così bravo. E per la verità non sono nemmeno convinto sia sempre una buona idea esserlo. Per esempio ho appena messo su Twitter questa immagine, una delle molte che girano in questi giorni a perturbare un ambiente sociale pieno di tutte le nostre debolezze. È una foto di Jim Morrison, a cui è stato aggiunto un commento inventato che fruga nelle nostre ansie e nella cronaca di questi giorni. Il sarcasmo di questa foto – la mia colpa odierna – deriva dal far notare che Maurizio Gasparri ha abboccato al tranello.

Sparare sulla presenza on line di Maurizio Gasparri è un sport molto praticato e Maurizio Gasparri non sembra preoccuparsene troppo. Insulta, blocca gente sconosciuta, minaccia e riceve querele, e tira dritto come se niente fosse. Da un lato la sua scapigliatura di cittadino agguerrito nella giungla dei social network mi colpisce positivamente, dall’altro la grossolanità dei suoi argomenti mi costringe a ricordare ogni volta il suo ruolo politico e l’imperfezione (diciamo così) del nostro metodo di selezione dei migliori.

Tuttavia foto sarcastiche come questa sollevano questioni ben più serie. Ne ha parlato Claudia Vago sul suo blog e gli effetti paradossi dell’utilizzo di simili messaggi sembrano sinceramente preoccupanti.

Per tornare a un discorso generale, perché non è di me che stiamo parlando, noto sempre più spesso la totale incapacità di leggere i sottotesti, di dare a un testo (qualsiasi, anche a un video o a una fotografia) un’interpretazione che scavi un poco sotto alla superficie e al testo stesso. Viviamo in un mondo al primo grado, come direbbero i francesi, perdendoci completamente il secondo, che è quello in cui, generalmente, succedono le cose più interessanti

Che senso ha produrre oggetti ironici come quelle foto (la mia preferita è questa) se poi la discussione che li circonda mostra invece la nostra povertà intellettuale? Decine di commenti e condivisioni di persone che non hanno capito, decine di commenti violenti del tipo “cosa sono queste cazzate, lo so che quello è un attore”, contenuti accessori che trasformano piccoli esperimenti di ironia politica in Caporetto comunicative.

Tendiamo a considerare l’ironia come un linguaggio da iniziati. Lo è. Ci consente di riconoscere i nostri simili. Chiunque può accedere a questa specie di circolo Pickwick digitale ma oggi simili contenuti raggiungono e raggruppano persone diversissime.

Il ritratto complessivo di un vasto analfabetismo culturale (un analfabetismo che riguarda i sistemi di decodifica ma anche spessissimo il linguaggio utilizzato dalle persone) è come sempre del tutto impreciso (quanti sono quelli che hanno osservato quell’immagine e si sono fatti una silenziosa risata senza lasciar segno?) ma comunque assai verosimile. Esistono milioni di statistiche che lo sottolineano da anni.

Chiedersi come valga la pena comportarsi in simili situazioni è una bella domanda. La mia risposta, per ora, continua ad essere che preferisco continuare a partecipare. Fare errori, rendermi ridicolo, manifestare in maniera goffa il mio punto di vista. Magari – se possibile – con maggior moderazione.

Preferisco essere Gasparri, possibilmente senza la testa di Gasparri, piuttosto che quelli che preso atto dell’imperfezione loro e soprattutto degli altri intorno – si ritirano in disparte a dire cose sempre meditate ed intelligenti. Ci sarà sempre tempo per migliorare così tanto da far finta di essere quello che non sono.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020