Andate e indignatevi tutti

Informazione fa rima con indignazione. È uno sport che abbiamo praticato molto, almeno noi, fan dell’informazione, appassionati delle notizie che lo erano ma qualche volta, anzi spesso, anche di quelle che non lo erano. Perché svelare il meccanismo della cattiva informazione è anch’esso a sua volta un plot informativo. Uno di quelli capaci di dare grandi soddisfazione del tipo a me non la si fa ma anche di far quadrare i conti delle pagine viste in rete.

Svelare le notizie sbagliate, copiate, paracule, interessate, pagate sottobanco, imboccate dall’amico dell’amico, disinformate, è un genere letterario strettamente legato alla rete Internet. Per la semplice ragione che prima non si poteva, non così tanto. Prima di Internet i fact checker di provincia che erano in noi non avevano grandi strumenti per spargere la loro controinformazione, per raccontare al mondo retroscena e meccanismi con i quali l’informazione ci prende in giro. Dopo Internet l’effetto paradosso di una simile pratica sociale è stato quello del moltiplicarsi dell’indignazione, del suo diventare un fenomeno autonomo ed immediato che scatta ad ogni vago sospetto e che, in molti casi, non esce dal ristretto cerchio delle impressioni personali e della malevolenza.

Esistono ovviamente casi eclatanti e incontrovertibili (l’esempio tipico è il grande inviato del grande quotidiano che incolla articoli della stampa straniera nel suo pensoso editoriale) così come esistono soggetti che negli anni hanno costruito attorno a questo controllo delle fonti una attività meritoria e stimata (uno su tutti Paolo Attivissimo) ma, nella maggioranza dei casi, il fenomeno del retroscenismo informativo resta occasionale, amatoriale e spesso altrettanto superficiale rispetto agli altarini che intende svelare. Le notizie in rete, tutte, subiscono oggi una specie di prelavaggio anticasta il cui motore non è tanto la verità quanto l’indignazione.

Per citare un caso concreto: quanto vale indignarsi, come in molti abbiamo fatto in queste ore per il servizio che il TG4 ha dedicato allo sbarco del lander di Rosetta sulla cometa? Quanto è utile diffondere il video del servizio, ripetere il nome del giornalista che lo ha firmato, commentare salacemente le stupidaggini che contiene? La domanda potrà sembrare banale ma forse non lo è completamente. Da un lato, certamente, parlarne serve. L’informazione, da quando è in rete, si è fatta ecosistema biologico con qualche opzione di autocorrezione in più. Sottolinearne aberrazioni e doppiogiochi è certamente utile e necessario, anche se il meccanismo di emersione di simili errori utilizza quasi sempre un linguaggio inadeguato e violento. Inoltre occorrerà ricordare che l’informazione stessa è parte integrante del sistema di potere (anche se lei spesso nega): analizzarne le debolezze è, a tutti gli effetti, un’attività di controllo democratico.

Sull’altro versante se il risultato dell’azione di controllo è l’indignazione può accadere che l’indignazione diventi il fine e non il risultato di tutto il processo. L’indignazione come genere letterario digitale attira nuovi lettori, scatena il passaparola, avvicina alla notizia persone che mai se ne sarebbero interessate. Ai tempi di Internet, insomma, indignarsi per primo diventa un modello di business e come tale è in grado di trasformare ogni controllo dei fatti in una attività accessoria. Diventando business inoltre, accetta di abbassare ogni volta gli standard di qualità richiesti al controllo informativo. Il risultato di tutto questo è sotto i nostri occhi: oggi basta un refolo di vento per scatenare grandi campagne con saldi legami con l’insinuazione spicciola. Tutto fa brodo a patto che il lettori si indigni e accorra alla nostra mangiatoia. E questo a ben vedere è diventata la linea editoriale anche di molti giornali di carta, da Libero a Il Fatto Quotidiano. Uno dei molti esempi di come il peggio del web refluisca placidamente in quella che una volta chiamavamo “vita reale”.

Ma se sui modelli di business non c’è molto da discutere, ognuno si faccia i propri, sui rapporti dei singoli cittadini con l’indignazione forse qualche indicazione personale sarebbe utile darla. Così io questa mattina mi sono svegliato con in testa la famosa frase di Cesare Pavese sulle biciclette da inforcare. È una lettera bellissima quella del diniego di Pavese al suo editore, che circola molto in rete e nei social network da tempo:

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Solo che nemmeno quella lettera è quello che sembra e così il gioco della parti fra Pavese ed Einaudi si trasforma in un istante in un piccolo motore di indignazione (lo sfruttamento del grande scrittore da parte dell’editore insensibile). Nel gioco a somma positiva dell’indignazione in rete la risposta di Einaudi a Pavese, una risposta ugualmente ironica e scherzosa, rompe il giocattolo e non è utile alla causa. E come tale viene quasi sempre cancellata.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020