Apple: la fatica di essere differenti

In una lettera ai dipendenti a Natale 2013 Tim Cook scrisse che Apple aveva grandi piani per il 2014. Qualche settimana dopo Eddy Cue, alto dirigente dell’azienda, rincarò la dose dicendo che “i prodotti che lanceremo entro la fine dell’anno sono i migliori che abbia mai visto negli ultimi 25 anni.

Insomma, sfrondati simili annunci dalla usuale retorica aziendale natalizia, il 2014 dovrà essere per Apple, per stessa ammissione di Apple, l’anno della svolta. Del resto si tratta di un appuntamento, in gran parte psicologico, che non poteva essere dilazionato ulteriormente. L’azienda di Cupertino ha bilanci molto in ordine, grande liquidità, una quotazione azionaria su livelli mai visti in passato: quello che le manca, semplicemente è un po’ di fiducia nel futuro che la rassicuri sul suo essere “differente”.

Quando morì Steve Jobs qualcuno fra i molti che attribuivano quasi esclusivamente alle virtù taumaturgiche dell’uomo i grandi successi di Apple, scrisse che l’azienda aveva davanti alcuni anni nei quali avrebbe potuto tranquillamente vivere di rendita. Il vantaggio competitivo che i prodotti inventati negli ultimi anni prima della morte del fondatore erano tali che Macbook, iPhone e iPad sarebbero rimasti ancora per molto tempo, nonostante tutto, il termine di paragone per chiunque. Così è stato e Apple da allora ha eseguito diligentemente il compitino dell’aggiornamento dell’esistente: ha migliorato l’hardware, modificato il form factor, accelerato le CPU, reso i prodotti più leggeri, aggiornato i sistemi operativi. Quello che non ha fatto è stato proporre prodotti radicalmente nuovi; ha vissuto, come scrivevano alcuni, sulla rendita di posizione guadagnata a suo tempo.

Io non ho un parere sul fatto che il talento, la durezza, la paranoia, le ossessioni di un singolo capo azienda possano condizionare in maniera assoluta la qualità dei prodotti della più importante società tecnologica al mondo. Vorrei dire di no, che la complessità ai suoi massimi livelli richiede un approccio di sistema che non può essere limitato alla visione di Jobs e, al massimo, al gusto estetico di Jonathan Ive. D’altro canto è abbastanza evidente che l’unica alternativa possibile alla dittatura illuminata del singolo è quella di immaginare un ciclo dell’innovazione: ci sono aziende che per periodi più o meno lunghi conducono i giochi e segnano il percorso a tutte le altre (Apple lo ha fatto per un periodo lunghissimo nel primo decennio del secolo) e poi, per banali ragioni biologiche, smettono di farlo.

Qualunque sia la ragione Apple in questa seconda metà del 2014 è a un bivio. Ci si è messa da sola, prima navigando per anni dentro il mare calmo dei propri formidabili prodotti, poi, quando le onde si facevano minacciose, annunciando nuove traversate.

Le indiscrezioni dicono che nei prossimi giorni l’azienda di Cupertino presenterà – oltre al solito iPhone/iPad aggiornato – un nuovo prodotto. Questo nuovo prodotto ha una differenza sostanziale rispetto a quelli dell’epoca Jobs. Mentre Macbook Air, iPhone e iPad andavano ad occupare spazi disabitati, scommettendo su nuove abitudini e nuovi desideri (il notebook leggero come un foglio di carta, il touch screen di iPhone come nuova interfaccia, l’iPad come nuovo paradigma dell’intrattenimento) l’iWatch che tutti attendono, il computer da polso di cui si favoleggia da mesi, dovrà farsi spazio, a meno di indicibili sorprese, dentro un’area già intensamente popolata da prodotti per lo più di modesta impronta innovativa o al massimo dedicati a piccole categorie di pubblico (i runner, gli impallinati della salute fisica ecc). E questa sembra essere la principale novità della Apple di Tim Cook: lottare con grande disponibilità economica e competenze nel medesimo campo di gioco degli avversari. iWatch già ora, prima di essere presentato e prima ancora di avere grandissimo o pochissimo successo, mostra la difficoltà che ormai riguarda tutti, Apple compresa, di pensare differente. Di ritrovarsi indecisi, di notte a un bivio fra due strade e provare a sceglierne una terza non tracciata, con la convinzione un po’ folle che quel percorso inedito ci porterà in nuovi territori sconosciuti e meravigliosi.

Massimo Mantellini

Massimo Mantellini ha un blog molto seguito dal 2002, Manteblog. Vive a Forlì. Il suo ultimo libro è "Dieci splendidi oggetti morti", Einaudi, 2020