Cani e porci (e pavoni)

1. Casus belli

Ho letto il libro di Culicchia, quello nuovo (qui un capitolo del libro pubblicato sul Post), che parla di esordi, esordienti, editoria, brillanti promesse, soliti stronzi e venerati maestri.

Se uno è appassionato al tema, sono tutte cose che avrà già sentito dire parecchie volte. Se invece non se ne sa niente il libro è un bel riassunto: ironico, umile, onesto, e anche divertente.

Io l’ho digerito un po’ male, mi ha causato tutta una serie di borborigmi che mi accingo ora a traslitterare.

2. Nota preliminare:

Per comodità di lettura, allora, i miei movimenti peristaltici assumeranno adesso la forma di un irritante e continuo brontolio senile messo per iscritto. Tutti gli interrogativi qui contenuti  sono dunque da interpretarsi come il tentativo (fallito) di camuffare da post leggibile uno sterile sfogo: i medici la chiamano arteriosclerosi precoce, io preferisco l’espressione vis polemica.

3. Casus belli pt II: Angelo Ferracuti

Quando ci si  lamenta del fatto che ormai tutti scrivono, tutti hanno un blog, tutti possono fare self publishing, tutti si avventurano a comporre frasi argute, facezie varie, sapidi commenti su facebook e lepidezze brevi su twitter  esattamente di cosa ci si sta lamentando?

3.1 Premessa maggiore

A scuola non ti insegnano solo a leggere, ti insegnano anche a scrivere. Se volessimo un popolo di lettori non scrittori, non ci sarebbe bisogno di fare prima le asticelle e poi le paginette di a, e, i, o, u, no? Invece già qualche secolo fa, abbiamo deciso che scrivere rientrava tra quelle abilità imprescindibili, molto più di saper suonare uno strumento (le ore di musica sono poche, e solo alle medie) o essere in grado di dipingere un quadro, realizzare una scultura, scattare una fotografia (l’educazione artistica è messa più o meno come quella musicale, e stranamente per queste carenze pedagogiche si indignano quegli stessi scrittori infastiditi dal fatto che ormai scrivono tutti). Insegnare a scrivere alla gente affinché poi nessuno scriva non avrebbe molto senso, giusto? Allora mi sa che non è di questo che ci si lamenta.

Ci si lamenta del fatto che chiunque scriva si senta uno scrittore.

3.2 La soluzione di uno scrittore

Angelo Orlando Meloni, uno scrittore molto intelligente e con un gran gusto per gli ossimori, è stato capace di scriverci sopra un libro spiritoso, che si chiama Io non ci volevo venire qui. A volerlo (malamente) sintetizzare, il suo romanzo pone questo problema: come mai l’alfabetizzazione di massa anziché produrre fisici della materia, ingegneri, genetisti, astronomi e chimici ha finito per produrre poetastri, scribacchini, sceneggiatori, registi dalla mano tremula e imbrattatele? Bella domanda, se ne potrebbe dibattere a lungo, molto a lungo.

3.3. Ok, scherzavo: non era una soluzione

Ma qua non c’entra. Perché se anche la scuola avesse prodotto gli uomini di scienza di cui ci sarebbe realmente bisogno, su Facebook non li vedresti lo stesso. Perché? Perché lo scopo di Facebook e dei blog non è (e non potrebbe mai essere, se non molto accidentalmente) quello di scambiarsi  equazioni differenziali e formule chimiche. Anche gli scienziati, su twitter o su un blog, scriverebbero solo minchiate, perché:

1) A questo servono i social network e i blog.

2) L’uomo è un animale sociale, nel senso che quando l’uomo è in società ritorna un animale e si esprime essenzialmente mediante minchiate: le minchiate, e solo le minchiate, rendono piacevole lo stare in società. Quando si ha voglia di cose serie, bisogna fare come Machiavelli: chiudersi da soli in una stanza e inscenare dialoghi con gente morta secoli or sono.

4. La domanda è malposta

Ma torniamo al perché tutti si sentono scrittori.

Prima di ammorbare oltre l’eventuale incosciente che si fosse messo a leggere queste scempiaggini, do subito la mia risposta, così non c’è bisogno di proseguire: attribuire delle intenzioni a chi scrive è un atto arbitrario. Soltanto io so (e non è neanche detto che lo sappia veramente) a quale pulsione intima stia ubbidendo quando mi metto a scrivere. Chiunque mi legga e si occupi non di cosa ho scritto ma del perché io abbia voluto scriverlo lo fa sulla base del nulla: mi può dare del narcisista, del mitomane, del velleitario, può dire che il mio blog è il capolinea di degenerazione cui ci ha condotto la società dello spettacolo (e mi troverebbe pure molto d’accordo) e proseguire all’infinito nel trovare motivazioni tanto plausibili quanto inverificabili: più o meno, con le dovute proporzioni, siamo dalle parti di “Leopardi diventò un poeta perché c’aveva la gobba”. Anzi pure un po’ peggio: perché almeno che Leopardi c’aveva la gobba è documentato, che io sia gobbo invece non l’ha ancora verificato nessun biografo (se qualcuno mi vuole fare da biografo, sarò felice di mostrargli tutte le deformità fisiche e psichiche che mi hanno indotto ad aprire un blog, vi assicuro che con me c’è da sbizzarrirsi, ma il vero motivo è che sono un essere dalla natura perfida, che ama fare il male per il male, e vuole distruggere il mondo: non essendo in grado di costruirmi un’atomica in casa o di praticare la coltura di batteri capaci di spandere pandemie, faccio quel che posso e sevizio chi ho a tiro scrivendo su un blog).

5. Diagnosi da rotocalco. 

Alla base delle geremiadi prodotte dagli scrittori (riassumibili in: da quando c’è il web, scrivono cani e porci, e questo procura danno alla “Letteratura”) c’è una diagnosi di narcisismo preconfezionata.  Preconfezionata da chi, poi? Da uno scrittore: cioè da uno costitutivamente affetto da narcisismo (se non lo fosse, difficilmente farebbe quel mestiere). E quindi il bue dice cornuto all’asino e se ne esce con: hai un blog? Sei un esibizionista. Hai un account su twitter? Soffri di presunzione e manie di protagonismo. Ti senti bravo, sagace, ironico, intelligente? E invece sei un poveretto. Hai addirittura pubblicato qualcosa con un editore? Ciò non prova nulla: ormai chiunque viene pubblicato da chiunque, non è più una dirimente.

5.1 Facciamo un inceneritore a Chiaiano.

Effettivamente: si parla di cinquantacinquemila titoli all’anno. Che è vero che non sono assorbibili dal mercato, ma è altrettanto vero che in qualunque mercato c’è sovrapproduzione: mica si vendono tutte le merendine che si producono. Molte scadono e si buttano. O si regalano alla caritas. O si offrono a uno che ti fa antipatia sperando gli facciano diarrea. Se il libro è una merce (e lo è: chi lo nega deve anche essere disposto a pubblicare gratis), è soggetto alla sovrapproduzione.

6. Narciso, senza specchio, sarebbe stato narcisista?

Comunque, diamo per corretta la diagnosi di narcisismo e diamo per rivelatori i  sintomi di cui sopra (perché spesso lo sono).

Ma allora fatemi anche capire una cosa: mettiamo che io, una volta alfabetizzato e scolarizzato, mi ritrovi iscritto a un social network che ha come unico mezzo espressivo la scrittura: chessò, facebook o twitter, dove o scrivi o non esisti (e se non esisti che ti ci sei iscritto a fare?). Mi sembrerà naturale usare la scrittura per interagire. E siccome di solito il contesto social network non è di stampo tecnico o utilitaristico, bensì è rivolto allo svago (o al massimo all’informazione), tenterò di essere simpatico, brillante, divertente oppure profondo, pensoso, intelligente. Seduti al tavolino di un bar, chi avrebbe voglia di stare accanto a un amico che sta zitto tutto il tempo? Di solito si ama la compagnia di persone spiritose o interessanti e si fugge da quelle noiose. Cosa dunque si rimprovera di preciso a chi su facebook e twitter scrive battute o pensierini a effetto? Di fare lo splendido? E cosa, di grazia, dovrebbe invece fare uno su facebook o twitter? Postare solo emoticon con una faccina contrita, nella speranza che qualcuno gli rivolga la parola e gli chieda: ma che hai oggi, perché te ne stai lì senza dire nulla? Sui social network il dilemma morettiano perde, per fortuna, qualunque significato: no, non ti si nota di più se non vieni, e nemmeno se vieni e poi ti metti seduto in un angolo con una faccia triste.

6.1 I cafoni arricchiti

Non è un po’ paradossale criticare chi fa il brillante in 140 caratteri? L’accusa in pratica è più o meno: oddio, sei intelligente, che schifo! Oddio, sei spiritoso, che tristezza!

Magari mi sbaglio ma ci leggo uno snobismo da nobili decaduti: scoprire che in molti sono capaci di battute intelligenti o di frasi efficaci è come assistere al decadimento di un privilegio. L’intelligenza è più diffusa di quanto gli intelligenti pensassero. E allora ne fanno una questione di stile, ricorrendo al cosiddetto profilo basso, proprio come si fa con la ricchezza finanziaria. Il tratto del “vero” intelligente sarà non fare l’intelligente sul social network o sul web.

Bene, a me piace chi tiene un profilo basso.

Quindi da oggi ammirerò solo quel tipo di persona intelligente che per essere intelligente sui social network cercherà di passare il più possibile per cretina. E di non essere spiritosa, bensì tetra e lugubre. Non originale ma stereotipata. E per non essere superficiale entrerà molto nello specifico dei temi trattati: farà accademia, ma in 140 caratteri. Là sì che si vedranno la vera cultura, la vera erudizione e la vera intelligenza.

6.2 Rischi connessi al non ostentare: l’ermetismo e la crittografia 

Se davvero si sposa questo tipo di understatement, l’ermetismo è dietro l’angolo. E a farci caso i più intellettuali tra i miei contatti facebook fanno da parecchio una gara a esprimersi per sciarade: citazioni apparentemente piane e scorrevoli, che alludono in realtà a letture sofisticate, appannaggio di pochi, finissimi, iniziati. Bella la democrazia delle lettere, eh?

(I più odiosi postano uno status tra virgolette, palesemente citando un libro o un film, ma poi non si abbassano a scrivere da dove è tratta. Se ci cadi come un pollo e glielo chiedi, loro trionfano: ma come, non lo sai?)

7…and it’s a long way to come from the dog and duck karaoke machine/ and Saturday night’s drunken dreams (Just Jack, Starz in their eyes, 2007)

Passiamo ai blog. Tutti hanno un blog. Tutti credono di avere qualcosa da dire, tutti credono di saperla dire e tutti reclamano attenzione. Embè? Succede in tutti i campi della cosiddetta creatività. Il mio vicino di casa suona la batteria. Le pizzerie e i bar fanno il pienone con le serate karaoke. Abbondano i pittori, i fotografi, i ceramisti, gli chef. Perché la scrittura no? Perché se canti, suoni, dipingi, fotografi hai un hobby e se invece hai un blog sei un presuntuoso? Perché avere una Fender in cantina è normale e invece avere un romanzo nel cassetto è così esecrabile? Sarò strano ma a me il fatto che si scriva di più pare solo un passo in avanti per andare incontro ai libri (e dunque agli scrittori, anche a quelli lamentosi).

7.1 Suonala ancora, Spam

A me è sempre piaciuto ascoltare musica. A forza di ascoltare musica, a un certo punto chiesi ai miei di avere in regalo una chitarra. Dopo lunghe fatiche ho imparato a strimpellare i primi accordi. Poi ho acquisito un poco di pratica, mi sono unito ad altri tre scimuniti come me dentro a un garage e abbiamo cominciato a straziare i pezzi che ci piacevano. Poi ne abbiamo composti di nostri, inascoltabili. Eravamo presuntuosi? Boh, forse, ma chi se ne frega? Noi ci divertivamo. Eravamo fastidiosi? Sì, ma solo per chi passava davanti al garage: nessuno era obbligato ad ascoltarci. Così come nessuno ti punta la pistola alla tempia per leggere questo blog. È stato utile provare a suonare? Sì, moltissimo: oggi, avendo i rudimenti di uno o più strumenti, sono convinto di apprezzare molto meglio sia le composizioni che le esecuzioni di qualsiasi brano ascolti, riconosco con più prontezza il talento o il tocco o l’originalità espressiva di chi sta su un palco o ha registrato un disco. Provare a fare una cosa serve: serve a capire meglio come si fa quella cosa, e quindi poi a godersela di più.

7.2 Scrivere per leggere meglio

Perché con la scrittura non dovrebbe essere così? Scrivi perché ti piace leggere, è normale e automatico: quando ti piace una canzone della radio, finisce che poi la canticchi sotto la doccia. Provare a mettere giù due parole è fondamentale per capire cos’è un saggio, un romanzo, un racconto, una poesia, la letteratura. E lo riteniamo fondamentale da sempre, non da quando c’è la rete. Altrimenti non si spiegherebbe perché abbiamo sempre chiesto agli studenti di ogni epoca di scrivere pensierini, riassunti, temi, tesi di laurea. E sempre per restare dentro al paragone: tutti dovrebbero imparare uno strumento musicale a scuola, no?

7.3 La repubblica delle lettere

Quindi il lamento sulla scrittura “di tutti” è un po’ insensato: se sei uno scrittore, dovresti augurarti un pubblico di scrittori in grado di apprezzare o criticare con cognizione di causa il tuo lavoro. E i blog, i social network, le chat e gli sms, e perfino la (presunta) maggiore malleabilità dell’attuale editoria, rendono il lettore un po’ più scrittore di com’era prima. Di più: il lettore puro, purissimo, questa creatura abissale dotata di occhi ma non di polpastrelli, siete sicuri che sia mai esistito? Il famoso, o famigerato, “lettore forte”, quello che regge da solo col suo portafoglio l’intero peso del mercato editoriale italiano, veramente ritenete plausibile che sia uno che legge e basta? Io ne conosco pochi di lettori forti, e sono tutti o scrittori affermati o cripto-scrittori. Chi legge scrive e chi scrive legge.

7.4 Guarire si può, ma non è che si deve

Sì, poi esiste anche chi non ha mai letto un libro in vita sua e ne ha scritti sette: anche chi non legge scrive, purtroppo. E non devono nemmeno essere in pochi. Ma forse su questi ci si può lavorare. E lavorarci potrebbe essere utile agli scrittori, agli editori, ai librai, perché lavorarci potrebbe voler dire acquisire nuovi lettori. Oppure no, mi sbaglio, e questi qui sono una quota ineliminabile, fisiologica, non ci si può lavorare, sono senza speranza. In tal caso: avete idea di quanti sono quelli stonati che cantano ai karaoke?

Mario Fillioley

Ho tradotto libri dall'inglese in italiano. Poi ho insegnato italiano agli americani. Poi non c'ho capito più niente e mi sono messo a scrivere su un blog con un nome strano: aciribiceci.com