L’ideologia del M5S contro le Olimpiadi

C’è un equivoco che secondo me va sciolto nella discussione attorno alla decisione del Comune di Roma sulle Olimpiadi. È utile intanto ricordare che le persone che pro-tempore occupano cariche pubbliche prendono molte decisioni che impegnano anche chi li succederà. Venire meno a un accordo preso – con il Governo e indirettamente con la comunità internazionale, si pensi a una città che non si è candidata essendoci già Roma e Parigi – è dunque molto grave e normalmente va evitato – tranne in casi estremi – perché colpisce l’istituzione e ne mina la credibilità. La reputazione è una cosa seria, come sa bene il fruttivendolo sotto casa che se ti vende un melone insapore te lo cambia gratis sulla parola. Con quale credibilità la sindaca Virginia Raggi andrà a discutere gli impegni del Comune che proseguiranno oltre il suo mandato? Molta meno di ieri.

Questo significa che agli occhi dei grillini la reputazione basata sul rispetto della propria ideologia è più importante della credibilità delle istituzioni. Questo è bene segnarselo. Vedo che molti trattano le cose che dicono con le stesse alzate di spalle riservate a Bossi quando la sparava grossa: come una posa retorica, per quanto orrenda. Invece, il tweet accigliato di Di Maio, che auspica che il governo violi i propri impegni finanziari con l’Unione Europea e usi quei soldi per abbassare le tasse, andrebbe preso più letteralmente. Nulla è più importante per i grillini della propria ideologia (evidentemente l’unico fattore che ha deciso il dietrofront sulle Olimpiadi, dato che di motivi razionali non ne è stato dato neanche uno)

E veniamo all’equivoco. Molti, in maniera retorica o in buona fede, sostengono che in questo modo i grillini abbiano rinunciato a dimostrare di essere competenti e trasparenti, di esser capaci di spingere Roma avanti; si leggono frasi come “hanno messo gli interessi del loro partito davanti agli interessi di Roma”. Ecco questo è un equivoco che non tiene conto del contenuto della loro ideologia che, in maniera simile a quella di Brexit, di Donlad Trump, di Marine Le Pen, pensa che sia nell’interesse di Roma: non avere le Olimpiadi, non essere membri dell’Unione Europea, rialzare le frontiere, chiudersi a riccio, rifiutare il confronto, non comprare le arance spagnole e non vendere il Parmigiano agli Stati Uniti. Questi leader e gruppi politici rifiutano ogni riflessione e analisi competente a favore di scampoli nostalgici di un passato immaginario e a vaghe immagini di un futuro distopico e inesistente. Il no alle Olimpiadi è coerente con i principi di chiusura economica, sociale e culturale, rifiuto del confronto, persino con i dati di realtà, e con la totale opacità gestionale e finanziaria che caratterizza questi partiti (tra l’altro, sia chiaro, sono principi che garantiscono tutti gli spazi possibili ai patrimoni monopolistici nazionali e internazionali).

Se non bastasse, le Olimpiadi, per la loro complessità, sono la kriptonite di questo approccio. In ogni Olimpiade è evidente la contraddizione tra il potente messaggio di sacrificio, comunità, confronto, apertura, umiltà che ci offrono le migliaia di atleti e lo sfarzo brutale che i cosiddetti grandi eventi portano con sé. Affrontare questa contraddizione e cercare di mitigarla richiede apertura, competenza, trasparenza, flessibilità, ossia l’opposto rispetto al bagaglio di strumenti a disposizione dei movimenti come quello di Grillo che sono chiusi, opachi, manichei e diffidenti di qualunque competenza.
Ma il mondo è fatto di contraddizioni da affrontare, che raramente si sciolgono con nettezza. Affidarsi a semplicismi porta sempre a guai maggiori perché quasi mai ci si può voltare dall’altra parte e far finta di nulla, come è avvenuto stavolta.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_