A Londra

Londra aveva conosciuto manifestazioni di grave violenza solo pochi mesi fa, in occasione delle proteste per l’aumento delle tasse universitarie. Alla luce dei fatti di questi giorni, anche quella violenza era indicativa di qualcosa di più profondo, di un particolare malessere inglese in un fenomeno che coinvolge molti paesi europei: fratture sociali che si allargano e il dato generazionale sempre presente sia pur in modi che cambiano da paese a paese. Negli ultimi anni il crimine a Londra è diminuito, ma sono aumentati i reati e le violenze a colpi di coltello che hanno coinvolto giovani e giovanissimi.

Chi deve crescere dei figli a Londra, nel resto del paese la situazione è meno critica, impara presto che la scuola pubblica non è uguale per tutti. Dopo il terzo compleanno del primogenito bisogna “scegliere” a quale scuola elementare mandarlo. Le scuole ammettono i bambini sulla base della distanza fisica dalla porta di casa all’edificio scolastico, si tratta pertanto di una scelta solo teorica. In pratica, le poche scuole pubbliche di qualità pur ricevendo centinaia di domande possono offrire un posto solo ai bambini che abitano nel raggio di cinquecento metri. Ognuno pertanto va alla scuola che capita, o a quella che si può permettere.

Il sistema pubblico era stato affossato nel ventennio della destra Thatcheriana, e i pur massicci investimenti del Labour hanno lasciato ancora molta strada da compiere. Mancano le risorse alle scuole e sono insufficienti i servizi di comunità per contribuire a tessere una trama sociale degna di questo nome. Di conseguenza, nella maggior parte dei quartieri poveri di Londra, sterminate periferie di case basse che distano ore sui mezzi pubblici dal centro, le scuole elementari continuano ad avere risultati disastrosi, con anche il 40 per cento dei bambini che non supera l’equivalente del nostro esame di quinta.

In Inghilterra non c’è una discussione sulla precarietà, per due ragioni opposte. Per la corposa classe media con accesso – sia pur faticoso – all’istruzione di buona qualità, i lavori precari sono comunque accompagnati da tutele minime sconosciute ai nostri e sono normale gavetta di un futuro più stabile. Invece, per le masse, minoritarie ma nutrite, di lavoratori non qualificati, la precarietà occupazionale è l’unica forma esistente. Certo in presenza di diritti fondamentali, ma con limitatissime prospettive di crescita economica intergenerazionale, e persino di stabilità economica individuale.

Questo non vale solo per le comunità di origine Afro-Caraibica, protagoniste dei saccheggi delle scorse notti, ed è l’evidente conseguenza di un sistema formativo molto classista che accentua le problematiche economico-sociali. In tempi di crisi economica, il destino di un limbo da lavoratore povero senza prospettive diventa ancora più realistico, e i desideri consumistici e commerciali sempre più irrealistici.

Tuttavia i saccheggi organizzati con i messaggini del telefonino di ultima generazione non rappresentano alcuna rivolta o protesta politica. Sono organizzati da persone che rimangono fuori dai meccanismi di rappresentanza collettiva e che non sono portatrici di identità al di fuori del piccolo orizzonte di quartiere. Essi rimangono, e vengono giudicati, per quel che sono: saccheggi, devastazioni, rapine operate con la scusa della motivazione antipoliziesca per rimediare l’ultimo modello di scarpe da ginnastica. Allo stesso tempo, essi pongono con forza la questione politica della coesione sociale che il governo del Labour aveva provato ad affrontare, anche con qualche successo: con serie misure contro la povertà; nella scuola e nella sanità; nei centri per l’orientamento di giovani e giovanissimi, centri anche di socialità e incontro fondamentali in una città come Londra frammentata in quartieri dai debolissimi legami sociali autonomi. Questi centri sono sorti ovunque negli scorsi quindici anni e sono stati i primi a essere colpiti – letteralmente chiusi – dai tagli del governo di Cameron.

La lezione di oggi è che si trattava di politiche insufficienti, ma semplicemente tornare indietro fa apparire lo slogan della ‘Big Society’ di David Cameron come un espediente retorico privo di contenuti.

Dall’Unità di oggi, 10 agosto 2011.

Marco Simoni

Appassionato di economia politica, in teoria e pratica; romano di nascita e cuore, familiare col mondo anglosassone. Su Twitter è @marcosimoni_