La meritocrazia, dicevamo

Fatte due premesse.
Che su ogni candidato si hanno giudizi soggettivi e parziali, soprattutto quelli nuovi; e di pochi si può dire – senza parlare solo per se stessi – che siano oggettivamente buoni candidati o cattivi candidati (persino Casini, col cui orientamento – ma ne ha mai avuto uno? – trovo poche sintonie, è stato un onesto e corretto politico, responsabile dei suoi ruoli, misurato) senza tirare in ballo le proprie sensazioni personali.
Che a fare politica si impara facendo politica, e che quindi va dato ai “nuovi” il beneficio del dubbio: anche se la storia politica italiana mostra statisticamente pochissimi casi (al volo non me ne viene in mente nessuno, dovrei pensarci) di persone estratte da diverse carriere e diventate politici importanti e capaci nel lavoro parlamentare. O non lo diventano, o si stufano, o entrambi.

Fatte queste due premesse.
Non mi pare giusto fare passare sotto silenzio e come “normale” (siamo rassegnati a tutto) che il PD abbia escluso dalle candidature o dalle candidature favorevoli persone di indiscutibile qualità nel fare il lavoro politico e parlamentare per dare dei ruoli e dei posti a persone che “non c’entrano niente”, per usare l’espressione più neutra, rispettosa e congrua. Ci sono candidature che suonano figlie di chissà quale capriccio o motivazione nascosta, ma di certo completamente estranee alla domanda “sarà un buon parlamentare del PD?” (e in alcuni casi persino a quella, secondaria, “porterà un sacco di voti?”). E che occuperanno in parlamento il posto di Luigi Manconi o Ermete Realacci, per dirne due difficilmente discutibili. Non è una questione di simpatie, ma di funzionamento della politica e miglioramento della società, che dovrebbe essere il ruolo dei partiti: soprattutto in tempi in cui queste cose sono in generale declino e non ci si possono permettere sprechi di risorse e qualità umane e professionali.

Poi questo giro di candidature è così sbilenco e disorientato che avrà incluso anche nuovi che finora hanno lavorato molto bene nella politica e intorno alla politica, come Lisa Noja o Filippo Sensi. È facile distinguerli, guardando i loro curriculum e cosa hanno fatto finora. Ma è facile distinguere anche altri, con imbarazzo: non per loro, ma per chi ha deciso, a danno di tutti.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).