Ti amo alla follia

Polverone è una metafora abusata, ma per una volta aderente al caos di reazioni, opinioni, polemiche, analisi, che è tuttora crescente intorno al tema delle molestie sessuali e delle prevaricazioni maschiliste (che sono maschiliste anche quando le vittime sono maschi: il maschilismo non è una cosa delle donne, ma degli uomini). Già il fatto che tutto sia nato per via del coinvolgimento di personaggi famosi del cinema dice molto sui fattori superficiali coinvolti nelle riflessioni correnti. Ma che il tema, grave, sia diventato sia un proficuo dibattito che un gran casino, è ormai segnalato da molti.

Il problema è che, come con tutte le cose, la risposta è quasi sempre “dipende“, e i tentativi di stabilire norme, analisi e canoni universali e definitivi finiscono solo per mostrare contraddizioni e permettere a chi vuole buttare tutto in vacca di trovare delle buone scuse. O di ridurre la discussione alla solita facile soluzione di individuare “i cattivi”. Ci sono invece molte cose ragionevoli e importanti da dire sui tanti aspetti di queste storie e di questo dibattito, ma riguardano ognuna un diverso aspetto di queste storie (o di ognuna di queste storie) e di questo dibattito: lo stesso tema generale del “consenso“, centrale in tutte queste discussioni, implica molte variabili. Dipende.

Ma soprattutto, c’è un problema a monte, ma intendo molto a monte: ed è che noi viviamo in società e culture che almeno in teoria sostengono che l’uso della ragione e della logica siano i criteri prioritari con cui affrontare per il meglio ogni questione e ogni aspetto della vita, però con una enorme eccezione: quella dell’amore e del sesso. Per i quali abbiamo invece costruito culturalmente una grande area di esenzione, e anzi ne abbiamo esaltato il tratto passionale, sventato, folle, emotivo. L’amore e il sesso sono celebrati – presso di noi – proprio per il loro sconvolgere la ragione, la logica, farci perdere il senno e farci fare cose assurde e scriteriate (il sesso è un campo in cui accettiamo persino l’esistenza di una violenza consensuale). E anzi sdegnamo come spregevoli le valutazioni razionali applicate a questi ambiti (sulle conseguenze di questa costruzione quando entra in relazione con la realtà, consiglio De Botton: oppure di riflettere sull’immutabilità dei tormenti sentimentali, delle poste del cuore, delle conversazioni sull’amore, tutte dimostrazioni di una contraddizione irrisolvibile).

E quindi, posto che le discussioni e le riflessioni equilibrate sono sempre preziose e lo sono moltissimo in queste storie – drammatiche e importanti: stiamo parlando di come funziona il mondo tra uomini e donne – dobbiamo mettere in conto che non ogni ragionevole regola potrà stabilirsi ed applicarsi a un campo che vogliamo estesamente esente da regole. Il che non vuol dire “liberi tutti” né assolvere nessuno, non fatemi spiegare cose inutili o sciocche. Non stiamo parlando di ciò che è più o meno palesemente violenza, prepotenza, sopruso, abuso, né dei casi in cui consenso o dissenso siano chiari e indiscutibili.
Ma vuol dire che il dibattito ragionevole e prezioso intorno al consenso e a cosa sia “provarci”, deve aspettarsi al massimo di ottenere un sistema migliore possibile di cautele, attenzioni e riflessioni che possa convivere con un ambito che è inevitabilmente sregolato: e limitare i casini. L’amore e il sesso restano un casino, per definizione.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).