Materiali di risulta

Il modo in cui molte delle maggiori testate giornalistiche hanno affrontato finora l’accusa di stupro contro due carabinieri a Firenze è sinceramente incredibile, nel 2017: è come se le pagine di denuncia contro la violenza sulle donne, contro il femminicidio, le pagine sull’equità per le donne, quelle del “Tempo delle donne” (già messe in quotidiano imbarazzo dal boccaccesco contenuto di alcune homepage degli stessi giornali) fossero state pubblicate da altre redazioni, in altri paesi, o come inserti di hobby e tempo libero. Lo stereotipo dell’integro tutore dell’ordine e quello della studentessa straniera troietta si impadroniscono di menti e tastiere e ne escono formulazioni come:

Una storia ancora oscura, strampalata, piena di dubbi e contraddizioni, messaggera di verità o di menzogna e che rischia di gettare ombre e fango su un’istituzione, i carabinieri, simbolo di legalità e giustizia

Ma in mezzo a questo rarissimo caso di grande presunzione di innocenza sulla stampa italiana, c’è un passaggio puntuale e incredibile in alcune delle cronache di ieri, a complemento della calunnia infantile per cui le studentesse straniere fingerebbero stupri per incassare soldi di un’assicurazione (una “assicurazione antistupro” per alcuni cronisti, della nutrita categoria “se non sei sicuro, scrivilo”). Alcuni giornali e siti di news (Il Messaggero, La Stampa, Il Mattino, Il Secolo XIX) hanno riportato con versioni quasi identiche questo impressionante dato:

Però non si può neppure dimenticare che tutte le studentesse americane in Italia sono assicurate per lo stupro e a Firenze su 150-200 denunce all’anno, il 90 per cento risulta falso.

Ci sono comunque delle cifre che fanno riflettere: ogni anno, solo a Firenze, vengono presentate da ragazze americane dalle 150 alle 200 denunce per stupro. di queste il 90% risulta completamente inventate.

in queste ore, a Firenze, circolano dati sulla quantità di denunce per violenza sessuale presentate dai circa 4-5 mila stranieri che affollano le università cittadine. Circa 150-200 all’anno, che poi finiscono con un nulla di fatto (un novanta per cento di assoluzioni). Ma tanto dolore e guai per tutti.

Ognuno può valutare quanto gli sembri plausibile questa notizia. Da studioso delle notizie false la prendo in modo scientifico e neutro, prescindendo dalla questione della fondatezza dell’accusa:
– non c’è nessuna fonte del dato (“risulta”, “circola”), ma nemmeno l’ambito da cui proverrebbe (procura? carabinieri? università americane?);
– un dato del genere presuppone che sia esistente e registrato un numero di denunce per stupro da parte di “ragazze americane” (separato da quello di “ragazze inglesi”, “ragazze cinesi”, “signore polacche”, “anziane svizzere”);
– e che sia esistente e registrata una percentuale di denunce “inventate” (ritirate? archiviate? concluse con una assoluzione, ma per “invenzione” e non per insufficienza di prove per esempio?) e che questa percentuale corrisponda al 90% (dato esatto) del totale di 150-200 (dato con un 25% di margine di errore: ma in ogni caso le “inventate” sono sempre il 90%).
Raramente si è visto spacciare un dato più sbilenco e poco credibile. Raramente – pur in una consuetudine quotidiana di fatti non verificati sui giornali maggiori – si è citato un fatto così maldestramente, senza pezze d’appoggio nemmeno approssimative.

Ho provato via Twitter a chiedere alle testate responsabili della pubblicazione di quel dato (un dato che le persone leggono, che prendono per buono, e poi ci formulano le loro opinioni sulla realtà, sulle donne, sulle studentesse americane; e poi votano, eccetera; io per esempio l’ho scoperto perché una persona me lo ha davvero opposto su Twitter come argomento per dimostrarmi che l’accusa era poco credibile) da dove fosse stato preso, chi ne sia la fonte: non ho avuto risposte. Intanto Claudia Fusani ha interpellato il questore di Firenze che ha smentito il dato alla radice, e ha chiamato quella storia una “bufala al cubo” (parole del questore, mi precisa Fusani).

Una vera e propria fakenews che sta girando in queste ore, è quella relativa al fatto che “il 90 per cento delle denunce per violenza sessuale delle studentesse americane risulterebbe infondata”. E che nell’ultimo anno ci sarebbero state ben duecento denunce. Bufala al cubo. Sempre la questura di Firenze precisa infatti che “nel 2016 in provincia di Firenze ci sono state 51 denunce per violenza sessuale. Non possiamo al momento fare una casistica delle vittime, italiane, straniere, americane. Per noi sono tutte violenze in ugual modo”.

Immagino che molti nei giornali suddetti (oggi quelli, ieri altri, domani tutti quanti) converranno con le nostre perplessità e vorranno volentieri che i loro giornali ammettano un errore di qualche genere (o essersi bevuti una bufala implausibile, o avere fatto confusione con chissà quali numeri e dati). Ma mi permetto di sperare che una volta o l’altra di queste infinite volte ci si ponga il problema generale di quale sia la cultura che viene formata nelle redazioni italiane, e non solo quello della correzione o ammissione di questo o quell’errore, che chissenefrega.

Perché io intravedo alcuni ordini di problemi un po’ più grossi. Quello di un’informazione per la quale – tra una foglia di fico e l’altra – le donne sono ancora quotidianamente carne da boxino morboso. Quello di un’informazione che vivacchia da sempre barattando indulgenze e complicità con procure e corpi di polizia in cambio di notizie e carte giudiziarie. Quello di un’informazione in cui la cultura della sciatteria e del sensazionalismo ha annullato quasi del tutto l’accuratezza, la verifica dei fatti, l’obiettività. Quello di un’informazione che pensa che i lettori siano cretini, o per presunzione o per affinità. I lettori peraltro pensano ormai lo stesso di chi fa informazione, e presto avremo ragione tutti quanti.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).