Il social network di Dorian Gray

Una cosa che mi sembra interessante delle Storie di Instagram – formato su cui mi pare non ci siano grandi analisi o riflessioni, forse per reazione all’aver esagerato a suo tempo con quelle sul predecessore Snapchat – è che malgrado siano un genere di cui si erano impossessati per primi i teenagers e poi è dilagato presso molte altre generazioni, queste ultime non hanno però prodotto nessuna declinazione propria e più originale dei suoi usi o linguaggi. Il modo, gli stili, le formule, i testi usati sono gli stessi per tutti: è un genere che azzera le differenze anagrafiche, e una Storia prodotta da vostro nipote oppure da vostra zia sono del tutto intercambiabili, a differenza di altre forme di “scrittura” in cui si creano repertori e forme di comunicazione proprie e distinguibili di ciascun gruppo e fascia d’età. Delle Storie su Instagram nessuno ha inventato un uso “adulto” o un linguaggio diverso da guardacosafaccio-appiccichini-tantasimpatia e sembriamo tutti coetanei diciassettenni, ambizione che in altri campi ha sempre registrato una quota di fallimento o di moderazione. Finora le “regressioni adolescenziali” degli adulti (fenomeno consolidato da decenni) avevano trovato sempre loro modi di espressione ibridi e adattati.
Che poi questo sia un ulteriore incentivo all’infantilizzazione dell’età adulta è un’altra cosa da discutere eventualmente (separando l’analisi dal giudizio, possibilmente).

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).