Ci dobbiamo vergognare

Scrivo per consigliarvi un libro. Esce a ottobre per Codice Edizioni, se preferite aspettarlo in italiano: per ora c’è la versione originale, e se magari vi manca qualcosa da leggere da portarvi al mare e ci mettete un attimo ad averlo sul Kindle o sull’iPad o che so io.
Il libro si chiama “So you’ve been public shamed” ed è una di quelle cose che qui chiamerebbero “saggio” rendendolo subito noiosissimo: invece è uno di quei tipici esempi di grande giornalismo narrativo angloamericano, pieno di intuizioni, suggerimenti e considerazioni intelligenti e attuali esposte raccontando nel frattempo un sacco di storie e aprendo parentesi su parentesi. Io mi ci sono imbattuto grazie a una recensione del New York Times: ma l’autore Jon Ronson è un giornalista britannico che ha già pubblicato diversi libri e ha una sua cospicua popolarità.

Il libro parla, a stringere molto, di “pubbliche umiliazioni al tempo dei social network”: mette in fila una serie di storie pazzesche ed esemplari di persone a cui la versione contemporanea e online della gogna pubblica – spontanee insurrezioni contro di loro sui social network – ha travolto le vite, a partire da casi e accadimenti molto diversi tra loro e con misure varie di colpa, ma in cui la punizione sembra sempre superare presto la misura del “giusto”. C’è il famigerato caso di Justine Sacco, per esempio, o quello di Jonah Lehrer. E altre storie che non ci potrete credere che vi siano sfuggite, quando dilagarono sui social network.
E che fanno pensare su molti nostri comportamenti, da singoli o da branco: e sulla difficile distinzione tra il desiderio di giustizia e il desiderio di affermazione di noi stessi che c’è in ogni punizione inflitta. Per esempio nella parte in cui si parla di come oggi la “richiesta di scuse” per chi sbaglia non sia quasi mai una riparazione per essere riaccolto, ma una pretesa di umiliazione pubblica, appunto, e di annientamento: il contrario. Come vale anche per il carcere, caso più palese di tutti di punizione attraverso l’umiliazione.
O anche, simmetricamente, dove si spiega che per la quasi totalità delle persone le più forti inclinazioni alla violenza vengano proprio da umiliazioni, piuttosto che da qualsiasi altro dolore e sofferenza.

Ma – dentro un contesto di storia e implicazioni della “gogna” come strumento correttivo – ci sono anche molte riflessioni che riguardano in generale il nostro rapporto con noi stessi, con gli altri, e con internet, di questi tempi. Sviluppate con una grande scrittura giornalistica, e un professionismo dell’accuratezza, dell’indagine e della correttezza, che fanno impressione se valutate con l’abitudine che abbiamo qui alla trascuratezza e sbrigatività della cronaca giornalistica barocca.

A lot of people move around in life chronically ashamed of how they look, or how they feel, or what they said, or what they did. It’s like a permanent adolescent concern. Adolescence is when you’re permanently concerned about what other people think of you.

all violence being a person’s attempt to replace shame with self-esteem

«A crowd is only impressed by excessive sentiments. Exaggerate, affirm, resort to repetition, and never attempt to prove anything by reasoning»

The snowflake never needs to feel responsible for the avalanche.

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).