Ma rinnovare cosa?

Ieri sera su Twitter Emanuele Menietti commentava – a proposito della ripresa dei due Ballarò, non particolarmente eccitante, diciamo – che non si capisce perché nessuno alla tv italiana prenda esempio dai programmi di questo genere sulle reti americane. Commento che suggerisce molte diverse riflessioni (sul fatto che gli americani proprio non ce li abbiano, i programmi coi politici che discutono tra loro, per esempio) ma una soprattutto, vecchia e sempre attuale: quella che in Italia quei programmi americani con quel ritmo e quella concretezza e quell’impianto davvero giornalistico e davvero televisivo non funzionerebbero, e li guarderebbe la metà delle persone: e su RaiUno non funzionerebbe un altro programma più moderno e inventivo di Porta a Porta (ovvero qualunque programma), come in edicola non funzionerebbe una versione più contemporanea e ripensata del Corriere della Sera. Perché il “pubblico” – quel che ne resta con questo nome e questa compattezza – preferisce sempre queste cose, quelle che riconosce, e nessuno ha il coraggio di rieducare il pubblico a cose diverse, o di cercarne uno nuovo, disponendosi a perderne molto oggi per ricostruirlo nuovo domani (uova, galline, la solita storia): soprattutto in tempi difficili. Si innova e si rischia quando le cose vanno bene, assurdamente. O quando si è nuovi, piccoli, e non si ha niente da perdere (ne sappiamo qualcosa noi piccoli e avvantaggiati, e non vorremmo essere nei panni delle grandi istituzioni editoriali, irriformabili). Ma quando vanno male, è solo paura e raggranellare.
Tutto questo era spiegato su un altro fronte ancora da Antonio Dipollina, due giorni fa: ma il tema è lo stesso.

Con le serie Usa si fanno i festival, si va sulle pay-tv e quando si prova a mandarle in prima serata sulle reti in chiaro, roba notevole come ‘Scandal’ o ‘The Newsroom’ – si prende il tre per cento. Pare di vederli i dirigenti in certe riunioni: quando si è fatta una certa, si alza uno e tira fuori una tabella di ascolti e chiede più o meno ma dove volete andare, ma rinnovare cosa?

Luca Sofri

Giornalista e direttore del Post. Ha scritto per Vanity Fair, Wired, La Gazzetta dello Sport, Internazionale. Ha condotto Otto e mezzo su La7 e Condor su Radio Due. Per Rizzoli ha pubblicato Playlist (2008), Un grande paese (2011) e Notizie che non lo erano (2016).