Ossessionati dalle citazioni

L’unica differenza di fondo tra una chiacchiera da bar e un lavoro accademico sta nelle citazioni: i brani tra virgolette, le note a pie’ di pagina, la bibliografia. È quindi paradossale che il direttore dell’Istituto IMT attribuisca a un’«ossessione per le citazioni» le critiche alla tesi di Marianna Madia. «Persona ossessionata dalle citazioni» è in assoluto una delle definizioni più efficaci che si possano dare al termine «ricercatore»: racchiude in sé tutta l’esigenza di conoscere e dialogare coi lavori collegati al proprio, di fornire prove alle proprie affermazioni, di indicare le fonti da cui si traggono i dati, di consentire ad altri di falsificare o migliorare la ricerca svolta.

È anche curioso che venga denunciata un’ossessione per le citazioni quando invece da molte parti si critica la disinvoltura crescente con cui si ignorano i dati, i fatti, l’affidabilità delle informazioni. Invece della post-verità, stando al direttore dell’Istituto IMT ci troveremmo in un mondo dell’iper-verità, tutti presi a fare le pulci sulle fonti, le virgolette e le note a pie’ di pagina. Sono pochi gli audaci che ci provano, e pure loro soffermano l’attenzione sui mezzi di informazione e sui social network: le sciatterie e le imprecisioni dei ricercatori rimangono ben confinate dentro la bolla accademica.

Eppure sarebbe importante assicurarsi che i lavori di ricerca fossero rigorosi, se non altro perché si tratta in gran parte di lavori finanziati con soldi pubblici, che non è il caso di sprecare. E in fondo ciascuna pubblicazione accademica dovrebbe contribuire a far avanzare – anche di un solo millimetro – la conoscenza del mondo. Dovrebbe aiutare a distinguere il falso dal vero, non a ingarbugliare ulteriormente le cose. Certo, in teoria i ricercatori dovrebbero controllarsi a vicenda, ma non c’è sempre il tempo o la voglia di farlo, a meno di casi eclatanti.

Madia ha ragione quando dice che la sua tesi non presenta «nessuna anomalia». In questa vicenda non c’è nulla che meriti la prima pagina o le dimissioni: l’abitudine di citare male, di usare le virgolette a intermittenza, di spargere un po’ a caso i riferimenti di nota, di rimandare genericamente alla bibliografia, è un’abitudine ampiamente diffusa – la si ritrova anche nei saggi pubblicati, figurarsi nelle tesi o tesine destinate a essere lette da una manciata di persone. D’altra parte non è utile parlare genericamente di plagio, mescolando i casi di imperizia nella citazione coi casi di effettiva appropriazione di idee e scoperte altrui.

Il caso della tesi della ministra Madia è nato nell’ambito della consueta sterile polemica tra grillini e antigrillini, e pare destinato a rimanerci. Volendo fare un passo oltre, potrebbe invece essere un’occasione per riflettere su una debolezza seria dell’università italiana: gli studenti scrivono pochissimo, e nessuno gli insegna a farlo. È del tutto possibile concludere un percorso universitario avendo scritto un unico lavoro, la tesi di laurea. Ed è possibile conseguire un dottorato senza avere mai seguito un corso di metodologia di base della ricerca e senza aver mai ricevuto indicazioni esplicite su come e quando citare i lavori altrui.

Oltre a gettare luce su questa debolezza seria dei laureati italiani, la vicenda della tesi di Marianna Madia mostra quant’è utile che i lavori di ricerca siano liberamente accessibili a tutti e disponibili in digitale. L’Istituto IMT ha alcuni limiti, ma ha il merito di rendere facilmente accessibili tutte le tesi di dottorato – rendendo anche facile usare i software antiplagio per eventuali inchieste giornalistiche: chissà quante cose si potrebbero scoprire sulla nostra classe dirigente se si potessero consultare con facilità i lavori cartacei dimenticati in qualche archivio.

Mentre gli interventi per insegnare a scrivere e citare in modo adeguato spettano alle singole università, il governo e il parlamento potrebbero intervenire in modo molto più deciso a favore della trasparenza e del libero accesso alle pubblicazioni accademiche. Accesso immediato, gratuito e in digitale ai risultati di tutte le ricerche finanziate con soldi pubblici – come peraltro sta provando a fare la Commissione europea. S’è parlato parecchio di trasparenza, merito e digitale in questa legislatura, ma per quanto riguarda l’università s’è visto pochissimo, ancora meno che per altri settori.

Disclaimer: ho fatto anch’io il dottorato all’Istituto IMT, qualche anno dopo Marianna Madia.

Lorenzo Ferrari

Lorenzo Ferrari è uno storico, di mestiere fa libri. Gli piacciono l'Europa, le mappe e le montagne; di solito vive a Trento. Su Twitter è @lorferr.