La scomparsa dei settentrionali

In Italia, non c’è più un solo settentrionale nei principali posti di potere: non era mai accaduto prima. Il presidente della repubblica, si sa, è siciliano. Il presidente del consiglio, si sa ancora meglio, è fiorentino. Il partito su cui si regge tutto il sistema – il Partito Democratico – è presieduto da un romano e in Parlamento è guidato da un lucano e da un sardo. L’altro partito di maggioranza è diretto da un siciliano, e al governo i ministri più importanti sono romani, siciliani e toscani. Qualche ministro settentrionale c’è, ma hanno poco peso politico o sono in crisi, come Lupi.
La Camera e il Senato sono presieduti da una marchigiana e da un siciliano, mentre il presidente della Corte costituzionale e il governatore della Banca d’Italia sono napoletani. Mario Draghi è romano, e a Bruxelles gli unici tre italiani con incarichi di peso vengono da Roma (Mogherini e Gualtieri) e dalla Basilicata (Pittella). I settentrionali non ricoprono nemmeno le due uniche cariche che contano davvero in Italia, quella dell’allenatore della nazionale e quella del conduttore di Sanremo.

Nella storia d’Italia i settentrionali ne avevano sempre occupati parecchi, di posti di potere. La triade dell’unità Cavour-Garibaldi-Mazzini era molto settentrionale. Pure più settentrionali di loro erano i Savoia e Giolitti. Il fascismo se lo inventò un romagnolo. La Resistenza fu in gran parte una faccenda settentrionale, e la nascita della repubblica fu ampiamente influenzata dal trentino Degasperi e dal piemontese Togliatti. La Seconda Repubblica poi è stata il trionfo del Nord: oltre agli arci-settentrionali Bossi e Berlusconi, settentrionali erano pure i leader della sinistra (Bertinotti), del centrosinistra (Prodi), del centro (Casini) e della destra (Fini).
Certo, i settentrionali non sono scomparsi del tutto: in larga parte, sono loro oggi a guidare le opposizioni. La minoranza interna del PD e i maggiori partiti di opposizione sono guidati da settentrionali – anche se pure nel Movimento 5 Stelle e in Forza Italia i dirigenti in ascesa vengono dal Sud. Persino il partito che era nato esplicitamente per fare gli interessi del Nord, la Lega Nord, sta abbandonando il suo carattere settentrionale.

Naturalmente, la provenienza non è tutto: non è che tutti i concittadini di Salvini la pensino come Salvini. Però la provenienza conta: la realtà concreta che ci circonda influenza i modi con cui guardiamo le cose. Soprattutto in un paese variegato e con una bassa mobilità interna come l’Italia, gli orizzonti cambiano profondamente se si hanno in mente l’entroterra calabrese oppure le periferie di Milano, le valli alpine oppure il centro di Palermo.
Negli ultimi vent’anni, l’Italia che è stata davanti agli occhi di buona parte della classe dirigente è stata quella del Nord. Ci siamo ampiamente occupati della questione settentrionale, passando vent’anni a parlare di federalismo – tra l’altro invano: oltre a distogliere l’attenzione dal resto del paese, non siamo riusciti a risolvere neanche i problemi del Nord. E ora molti settentrionali hanno ripiegato sulla contestazione o sull’apatia, come è accaduto alle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna.

Quest’inedita scomparsa dei settentrionali dai principali posti di potere non è una coincidenza. È in parte una reazione ai fallimenti degli ultimi decenni, ma è anche la manifestazione di una crisi più ampia che investe la classe dirigente del Nord, pure al di fuori delle istituzioni politiche. Non a caso, uno dei pilastri attorno a cui essa si è raccolta per decenni, cioè il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, versa anch’esso in uno stato di disorientamento. E quanto s’è visto finora dell’Expo di Milano non pare preludere a un rinascimento del Nord, anzi.
Resta da vedere chi possa ora prendere il posto di questa classe dirigente in declino – dato che ci vorrà pure qualcuno che lo guidi un po’, questo paese. Al momento le opposizioni non offrono alternative credibili. In teoria, un’alternativa alla crisi del Nord potrebbe venire dal Sud, ma anche lì gli esperimenti più interessanti (la Puglia di Vendola, la Salerno di De Luca) appaiono ormai esauriti, mentre gli esperimenti di Crocetta e De Magistris si sono schiantati molto presto. Certo, rimane Matteo Renzi – ma da solo sicuramente non basta.

Lorenzo Ferrari

Lorenzo Ferrari è uno storico, di mestiere fa libri. Gli piacciono l'Europa, le mappe e le montagne; di solito vive a Trento. Su Twitter è @lorferr.