Palme, hipster, Milano

Due danni sono stati commessi con il fuoco appiccato a una povera e incolpevole palma in piazza Duomo. Il primo è l’offesa portata a una creatura vivente; il secondo è la polarizzazione e semplificazione delle opinioni intorno a un episodio che meriterebbe invece una riflessione. Se da una parte la destra dei partiti e di movimento ha dato un’interpretazione del palmizio del tutto comico-grottesca e radicata nei propri più rozzi istinti etnocentrici e xenofobi, dall’altra, invece, moltissimi cittadini – specie giovani, colti e istruiti – hanno fatto cordone intorno alle palme, forti delle motivazioni più epidermiche e approssimative: che saranno mai quattro palme, c’erano pure nell’800 e poi sono pure divertenti. Questa seconda posizione, a mio avviso, testimonia un aspetto molto particolare, e probabilmente ancora poco raccontato, del rapporto tra la giunta milanese e i suoi elettori: l’amministrazione di questa città, secondo atto di un’esperienza di centro-sinistra iniziata con Giuliano Pisapia nel giugno 2011, è circondata da un affetto per tante ragioni pienamente giustificato – lo sappiamo – ma a tratti è protetta da un lealismo sentimentale e automatico che diventa spesso addirittura smanceria e cuoricini. Voglio riferire questa mia impressione: Milano, credo, è la città che, nel big bang e nella trasformazione sociale degli ultimi cinque anni, ha partorito una nuova antropologia locale, cioè l’hipster lealista, pronto in ogni evenienza a omaggiare o difendere la propria giunta e il proprio sindaco. Intendo qui con l’ormai vecchia e usurata parola “hipster” – in mancanza di un nuovo termine passepartout – l’avanguardia dei giovani creativi e istruiti che vivono, studiano e lavorano nella metropoli. Hipster è una parola irritante – ne sono consapevole – ma benché usurata è ancora dotata di un suo potere descrittivo su questa classe e alone di soggetti, così determinanti, peraltro, nel destino della città.

Sulla piantumazione delle palme in piazza Duomo per l’hipster non ci sono stati dubbi: è un’altra manifestazione della Milano orgogliosa che osa – come ha detto il suo sindaco in un tweet – che ha visione e che ha voglia di cambiare (a differenza di Roma). La sua posizione lealista è rafforzata ed eccitata da ogni critica e opinione contraria, classificata come “indignazione” o come forma sinistrorsa o grillina d’inimicizia al governo locale. La palma è simpatica e ciò è quanto basta a chiudere il discorso. Tutto il resto, appunto, è “indignazione” o mancanza di visione e di coraggio o avarizia di sentimenti verso l’opera illuminata della giunta. Ma vorrei ora avventurarmi ancora più internamente ai fatti, lungo una pista insidiosa e sconosciuta, che ha a che fare con la mente profonda e con le immagini: perché l’hipster, il giovane creativo e istruito, è così irresistibilmente attratto dal prestare la propria solidarietà al Comune, al sindaco e al suo progetto di palmeto? Forse perché quella folle e contraddittoria immagine del Duomo evoca in lui qualcosa di noto, famigliare e umoristico. Non sembra piazza Duomo, infatti, nella sua nuova e sarcastica giustapposizione di elementi stilistici – il gotico e la palma, il nord e l’equatore – ricreare su grande scala la disarmonia parodistica e schizofrenica dei meme che veicolano bufale e fake news, procurandogli più spesso ilarità che semplice repulsione? Non solo: la scelta della palma in Piazza Duomo coincide felicemente con un famigliare motivo iconografico. La silhouette della palma, infatti, negli ultimi anni è stata dozzinalmente riprodotta in decine di grafiche web, stampe su tessuti, profili Tumblr, inviti a party e vernissage, depositandosi nel cuore dell’immaginario digitale contemporaneo e di una certa scadente estetica internet, che potremmo chiamare “vaporwave”, senza entrare troppo nel merito. La palma, questa misteriosa e slanciata figura del mondo arboreo, è diventata con le sue fronde pennate un ritornello iconico famigliare.

Ora, azzardiamo: trovare quel significante riprodotto in Piazza Duomo è per l’hipster lealista la prova di un idillio e di una solidarietà ideale assoluta e quasi inconscia con la giunta Sala. A questo punto non ha neppure più senso, però, farsi domande davvero pertinenti sul paesaggio. Non ha neppure più senso chiedersi se la proposta di Starbucks di piantumare a proprie spese un palmizio in piazza Duomo non sia stato che un modo sensazionalistico e fraudolento di occupare le pagine dei giornali e le timeline di Facebook. Naturalmente a spese della città, del suo paesaggio e dei beni storico-artistici. Anzi, la domanda farà passare chi la pronuncia per un comunista malmostoso nemico delle corporation. Ma davvero nessuno trova disturbante che un marchio arrivi e squilibri fino a questo punto il paesaggio di un luogo, con un intervento dirompente e, fino al momento e alla forma attuali, assolutamente anodino e privo di vero charme e di funzione? Dov’è il senso filantropico reale e non pubblicitario dell’operazione? Dov’era la necessità? L’hipster lealista milanese rischia così di diventare un altro cittadino che, per quanto colto e aggiornato, saturo d’informazione fino al barocchismo, abdica al pensiero critico e alle domande più elementari, in questo caso sui beni storico-artistici e il paesaggio. Rischia di diventare suddito di un potere invero non autoritario, generando così, nel boom dei populismi aggressivi, uno strano legame-melassa con le istituzioni.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).