Gli italiani in Grecia

Scrivo questo post a caldo. Non solo in senso figurato. Sono steso sul divano, in mutande e sudo. Non si sa ancora esattamente come siano andate le cose in Grecia. Certo, tutto lascia credere che abbia vinto, e non di misura, il no. Piazza Syntagma si sta riempiendo di gente. Sono i sostenitori di Alexis Tsipras. Vedo scorrere sulla timeline le foto della piazza sempre più gremita, mentre il cielo si fa più scuro. Da qualche parte dovrebbe esserci pure qualche italiano, qualche militante partito per portare la propria solidarietà a Tsipras e per concedersi, probabilmente, una boccata d’aria e un momento di evasione. Politicamente parlando.

Poi, sempre da qualche parte in quella piazza, in mezzo a migliaia di greci, dovrebbero pure esserci dei politici italiani. Nichi Vendola, Stefano Fassina, Nicola Fratoianni, Alfredo D’Attorre, Paolo Ferrero. Verosimilmente con i relativi staff ed amici. C’è perfino Beppe Grillo, accompagnato da una cinquantina di deputati del MoVimento 5 Stelle. A molti commentatori italiani, illustri o meno, quella presenza non piace, e nonostante in Grecia stia accadendo qualcosa di enorme, è di loro che si ostinano a parlare: di Fassina, di Vendola, di D’Attorre. Dell’Italia, insomma, e del proprio cortile. Ne parlano con stizza, fastidio. Come fossero pupazzi, macchiette digitali da incollare su un meme accanto a un virgolettato. Sono andati lì a farsi pubblicità, pensano. Per saltare sul carro del vincitore. E può darsi, figuriamoci. Diciamo pure probabile, lo ammetto. “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci s’azzecca”: Giulio Andreotti.

Eppure, in questa pioggia di giudizi sferzanti, di cinismo sempre più insopportabilmente spinto e malevolo, ci si dimentica di un paio di cose. La prima è che nella fisiologia di un partito, di una segreteria, di un movimento, di una forza politica lungimirante, è assolutamente normale farsi un viaggio per vedere che cosa succede fuori dai propri confini. Anzi, non fuori. In casa propria. In Europa. Il 5 luglio 2015, giorno che resterà nella storia. Sarebbe stato molto stupido e provinciale restarsene a casa, semmai. Viaggi di studio, non solo passerella e carro del vincitore, quindi. La seconda è che è soprattutto nella fisiologia della sinistra, nella sua vecchia natura, ed è una prassi nobile nella storia della famiglia socialista, uscire di casa e andare a dare una mano e un sostegno, a portare solidarietà, amicizia, calore, e andare a stringere rapporti tattici, strategici e politici, con le forze di sinistra di un altro paese. Chi non è stato sfiorato da questo pensiero, chi non è stato raggiunto da questa anche dolce reminescenza, ma anzi resta tutto compreso nel proprio quotidiano e automatico cinismo, forse non ha nulla dentro di sé di quella storia, che è stata fatta anche di solidarietà tra popoli e segreterie partitiche. Al contrario: forse l’antipolitica lo ha invaso, ha formato dei trombi nelle vene, il sangue non gli circola più in corpo ed è diventato un reazionario. Solo retroscena, House of cards. Solo cinismo, arguzia e sarcasmo. E forse è questo cinismo, davvero, la ragione che ha impedito a tanti di comprendere non Stefano Fassina, chiunque egli sia, ma che cosa è accaduto in Grecia il 5 luglio.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).