Cosa non mi piace di Jimmy Fallon

Che cosa si vede in questa clip di 2 minuti e 24 secondi? Otto musicisti (The Roots) che riarrangiano una canzone di Madonna del 1983: Holyday. Madonna è seduta in prima fila, accanto a Jimmy Fallon. Tutti pigiati dentro lo spazio di una stanza angusta, dal soffitto basso, come i locali che di solito completano uno studio televisivo. Jimmy Fallon è il conduttore del Tonight show, il programma tv in cui è stata ideata e trasmessa la clip. Esclusa Madonna, tutti indossano una camicia hawaiana. Le texture delle camicie floreali creano la peculiarità scenografica di questa specie di quadro. Offrono una lucentezza estiva e un’allegria da bordo piscina che buca lo schermo. La clip è stata postata su Facebook il 10 aprile scorso. È stata visualizzata quasi dieci milioni di volte e condivisa da quasi centomila utenti. Una volta vista, viene voglia di riguardarla. Di rivedere le lenti a specchio color limone e i capelli biondi di Madonna, lunghissimi, che frusciano sulle spalle. Di riascoltare la vecchia Holyday restaurata e camuffata in una fanfara caraibica. Di studiare i piccoli strumenti esotici impugnati dai musicisti. Sembra la testa di un corteo al carnevale di Notting Hill.

Anche qui da noi lo show di Jimmy Fallon comincia ad essere molto amato e notiziato nei colonnini delle testate on line. Viene crudelmente usato, nella crudeltà che è propria delle conversazioni in rete, contro la presunta modestia delle interviste di Fabio Fazio su Rai 3. È molto amato soprattutto per gli sketch in coppia con le celebrities. Sono questi, al di là dell’intervista che segue lo sketch, i frammenti di scrittura tv che vengono tagliati, caricati in rete e poi fanno il giro del web. Jimmy Fallon dimostra una grande capacità performativa. I suoi sketch spesso sono campionature, filologicamente accuratissime, di momenti di cultura popolare americana: la coreografia hip hop tra gli anni ’80 e ’90; l’estetica e lo stile vocale del bubblegum pop anni ’60, a là Monkees o Hanna-Barbera.

Jimmy Fallon è eccezionale. Ma lo sono anche i costumisti, i coach, gli operatori che magari suggeriscono il grandangolo per ricreare l’effetto hip hop anni ’90 e gli autori che scrivono e poi dialogano con lo staff degli artisti. A Jimmy Fallon non si riesce a volere male, anche per la gentilezza e la simpatia. Eppure non riesco a guardarlo senza provare la sensazione, nauseante, di un grande personaggio e di un grande lavoro di squadra messi al servizio della pura celebrazione della celebrità. Come accade nella costruzione quotidiana delle gallery, dei colonnini. Delle gif su Tumblr che ripetono all’infinito una battuta di Di Caprio. Non c’è racconto del disco, del film, del libro in promozione. Solo una conversazione brillante che, essendo conformisticamente ironica ed autoironica, dovrebbe garantire da sola sull’onestà e la qualità del prodotto artistico in promozione. Non c’è racconto del lavoro, della sostanza umana e della temperatura a cui si è fusa in un manufatto artistico. Ma solo celebrazione della celebrità, reiterazione di un meccanismo promozionale in cui l’oggetto della promozione sparisce. Un po’ come la finanza, a suo tempo, ha fatto scomparire la cosiddetta economia reale. Ecco perché, qualche settimana fa mi è sembrata dirompente e nuova, più di qualsiasi Tonight show, la cover story scelta da CTRL Magazine, un piccolo free press di Bergamo. In copertina c’era la foto di uno sconosciuto, tale Giuseppe Mazzola, alpino e poi partigiano durante la seconda guerra mondiale. Mi è piaciuta non perché fosse la storia di un partigiano, come lo è stato mio nonno, e nemmeno perché avesse un sapore retrò, ma perché quella rivista aveva messo al centro di tutto nient’altro che una nuda storia. Quella (inedita) di un uomo.

CTRL MAGAZINE

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).