Raffaele e il meraviglioso plastico della Festa dell’Unità

Un amico mi ha segnalato un’intervista, a mio parere davvero straordinaria, firmata da Martino Pinna e Davide Lombardi e uscita giusto ieri qui. Leggetela. L’intervistato si chiama Raffaele Caterino ed è un ventitreenne residente a Modena, dove milita nel Partito Democratico. Verso la fine dell’articolo c’è una sua bella foto, insieme alla fidanzata, che per sguardi, postura, richiama alla mente le vecchie foto degli sposini del dopoguerra. Raffaele posa in giacca e cravatta e in lui non ho potuto non scorgere l’antropologia di un figlio, o forse meglio dire di un nipote, del comunismo emiliano, mix di socialismo e di cattolicesimo democratico, cooperativo e contadino. Insomma non ho potuto non riconoscere in lui un’aria inconfondibilmente e invincibilmente bersaniana. Ma la ragione dell’intervista sta nella particolarissima passione di Raffaele. Davvero unica. Tale passione risale all’anno 2000, quando Raffaele aveva appena nove anni, e consiste nella costruzione di un meraviglioso plastico, due metri per due metri e mezzo, che riproduce nel minimo dettaglio l’architettura di una Festa dell’Unità. Nello specifico quella storica e grandissima di Modena, che si tiene tra la fine di agosto e le prime settimane di settembre. Da allora Raffaele non ha mai smesso di ritornare ogni anno sul plastico, per migliorarlo e renderlo ancora più minuzioso, realistico e dettagliato. Ogni anno il plastico inaugura e chiude in coincidenza con la fine e l’inizio della Festa vera. Sulla storia della Festa dell’Unità, inoltre, Raffaele si è pure laureato. Titolo: “Feste dell’Unità a Modena, cambiamenti e tradizioni socio-politiche dal 1983 al 2007”.

Raffaele dice di riconoscersi nel PCI degli anni ’80 e di avere grande stima per Togliatti, Nilde Iotti, Berlinguer, Massimo D’Alema e, come sospettavo, per Bersani. Di conseguenza dice di non riconoscersi molto nel nuovo PD guidato da Matteo Renzi.

Questa intervista, e questa minuscola notizia che c’informa di un giovane uomo dedito a tale singolarissima specie di culto e bricolage, giunge a noi in un momento storico e culturale particolarissimo. Ce ne rendiamo conto ogni giorno. Non esiste più il vecchio Partito Democratico. Ne esiste uno nuovo. E basta confrontare le facce, il linguaggio, per saggiare la profonda estraneità e differenza tra i due. Il vecchio Partito Democratico, quello biograficamente collegato al PCI, non è in semplice minoranza, ma è semmai concretamente soccombente. Potrà rigenerarsi, ma non potrà più tornare ad essere ciò che è stato. In questo lentissimo crollo e sradicamento di un mondo, di un sistema culturale, tuttavia, le vecchie strutture non scompaiono del tutto, non si polverizzano, ma continuano a risuonare negli individui che quel mondo lo hanno abitato, per davvero o nella narrazione ricevuta. Le vecchie strutture si perpetuano nella forma di narrazioni nostalgiche o di ricostruzione feticistica dell’oggetto d’amore perduto. Perché d’amore si tratta. Penso, per esempio, a molti film di Nanni Moretti, ça va sans dire, o a un gruppo come Offlaga Disco Pax, che sulla nostalgia del comunismo emiliano ha costruito tutto il suo progetto artistico. Ma penso anche alla vena satirica che pesca nella nostalgia del comunismo italiano, a pagine Facebook di grande successo come L’Apparato e, in tono minore, La Sezione. E penso al sentimento di perdita che sostanzia tante conversazioni private. Però, il plastico di Raffaele, cresciuto nel silenzio discreto e sotterraneo della sua taverna, anno dopo anno, è all’improvviso per me, tra tutti questi documenti di nostalgia e ricostruzione quasi autistica dell’oggetto d’amore perduto, il reperto più bello, solitario, perfino misterioso ed esoterico. Immagino le dita di Raffaele che, di fronte alla fidanzata, trafficano con la colla e le forbici sopra i finti tendoni, sopra i modellini di stand e ristoranti, per ricostruire ogni volta ciò che la storia disfa. Se dovessi raccontare in un saggio questi ultimi vent’anni, partirei proprio da questa taverna. Lui ha semplicemente detto del suo plastico: “Lo faccio ogni anno, non so perché, non c’è un motivo razionale”.

Ivan Carozzi

Ivan Carozzi è stato caporedattore di Linus e lavora per la tv. Ha scritto per diversi quotidiani e periodici. È autore di Figli delle stelle (Baldini e Castoldi, 2014), Macao (Feltrinelli digital, 2012), Teneri violenti (Einaudi Stile Libero, 2016) e L’età della tigre (Il Saggiatore, 2019).