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  • Martedì 15 ottobre 2013

I 400 calci: intervista a Nanni Cobretti

Django-Unchained-3

Quando ero un adolescente brufoloso cercavo di farmi bello con La Cultura. L’unica cosa che ero bravo a fare era guardare i film, ascoltare musica che preoccupasse i miei genitori, leggere fumetti e occasionalmente qualche libro. Quindi, per far colpo su qualche ragazzina, puntavo tutto sulla Cultura. E siccome far finta di aver letto Nietzsche era troppo difficile, mi sedevo davanti alla tv a guardarmi i film. Divoravo VHS e DVD e mi facevo passare da amici che avevano l’ADSL cartelle e cartelle di film. Cercavo l’Arte, La Cultura, spuntavo la lista dei 100 Film Più Belli di Sempre come la lista della spesa.  Ma poi quando ci stava Un Capolavoro Del Cinema su Fuori Orario e in un altro canale c’era Commando, ecco, mi ritrovavo a girare su Fuori Orario durante le pause pubblicitarie di Commando. Rambo III lo disprezzavo. Lo disprezzavo tutte le volte che lo passavano in tv. Coprivo con sagaci commenti su “i buchi di sceneggiatura” il mio totale coinvolgimento. Mascheravo con superbia intellettuale la gioia per ogni pugno, per ogni one-line leggendaria. Ogni condanna all’edonismo reaganiano non faceva altro che nascondere una realtà che non potevo più negare: i film colle sparatorie, con i duri, gli inseguimenti, il body counting infinito – addirittura il Car Counting in alcuni casi –, le esplosioni, l’eroe che non guarda mai le esplosioni, insomma gli Action, mi piacevano un sacco. Per un certo periodo ho cercato di forzarli in una griglia interpretativa che fosse affine ai miei ferrei principi etici ma poi son cresciuto.

Ed è arrivato al quel punto che mi sono imbattuto in una recensione de I 400 Calci.
Non ricordo quale fosse la prima rece dei 400 che lessi, ricordo distintamente che passai le ore successive a pigiare “Articoli Precedenti”.
Questo sono I 400 Calci. Un calcio ironico alla pomposità dei vari Cinematografo, alla disperata ricerca dell’Arte, del Messaggio, alla Critica Sociale, alle faticosissime e militanti recensioni che mi toccava sorbire dai vari quotidiani sparsi in casa, tutte prese a decretare per prime e con voce sempre più grossa la Morte Del Cinema Occidentale, allarmate da cosa Si Insegna Ai Nostri Figli. Letta una rece dei 400 tutto il resto mi sapeva di vecchio. Ma non sono solo questo. Non è, per loro, una questione così di principio. Non ne fanno assolutamente una battaglia culturale. Loro vogliono farti divertire, ridere dei film brutti, applaudire per quelli belli, seguendo il più puro e fanciullesco “m’è piaciuto/non m’è piaciuto”.
Sono fan dell’intrattenimento puro. Si divertono a guardare i film, tutti, anche quelli che gli fan schifo perché poi si divertono a parlarne male. E lo fanno con il loro stile, con il loro gergo che ha contaminato l’internet italiano. E ce la sanno, amici miei, ce la sanno non poco. Scopri nuovi film, apprezzi caratteristiche specifiche del genere e tutto un mondo inesplorato per questi film che tanto ci si diverte a dileggiare. Alla fine capisci che ci vuole maestria a riprendere una sparatoria in un ospedale, che ci vuole bravura a creare battute indimenticabili o ambientazioni futuribili. Il tutto senza presunzione, sapendo che si parla sempre tra amici, tra gente che ha le stesse passioni, le stesse basilari gioie, e che, in fondo, si parla solo di film, che non è importante e forse è proprio lì il bello del cinema.
Tutto questo lo si deve a Nanni Cobretti: Il Capo. E ora tutti a riguardarvi Cobra prima di leggere l’intervista.

I 400 Calci è un sito di recensioni cinematografiche. Che senso ha scrivere una recensione di un film? Qual è lo scopo, e c’è un modo per scriverla?

Gli scopi di una recensione possono essere tanti e dipendono dal target. Puoi scrivere a non esperti per consigliare film e per passare serate con adeguato tasso di intrattenimento, puoi scrivere a esperti per consigliare film che hanno qualcosa da dire sul progresso del cinema come arte o mezzo di comunicazione. Sono macrogruppi che vogliono sentirsi dire due cose diverse. Personalmente in generale scrivo per chiacchierare di cinema con gente dagli interessi simili ai miei e diffondere e confrontare le mie idee in materia, che possono appartenere a un gruppo come all’altro a seconda degli stimoli.
Il mio modo di scriverla è livellarmi con l’interlocutore e mantenere il tutto sul piano della spontaneità.

Si può, con una sola recensione, parlare all’esperto e al ragazzo che deve decidere cosa andare a vedere quella sera al cinema?

Si possono stimolare entrambi, basta che il giudizio sia chiaro. A volte guardi un film di genere – cosiddetto senza pretese – e puoi essere attirato dalle convenzioni che decide di rispettare o tradire più o meno volontariamente. Di solito mi concentro sul lato che mi stimola di più. Il segreto, o meglio quello che ho sempre tenuto a trasmettere, è non sottovalutare il lato di puro intrattenimento. E riconoscere che anch’esso ha bisogno di abilità e talento per essere efficace e che, esattamente come ogni altro lato artistico di un film, non è una cosa che si ottiene semplicemente aumentando il budget.

Chi recensisce deve ammettere la propria visione o deve parlare nel modo più oggettivo possibile?

No, una recensione “oggettiva” non è onesta e non ha senso. Non mi fido di chi tenta di indovinare i gusti di qualcun altro. Dichiara ed esprimi chiaramente i tuoi, e io li confronterò con i miei e saprò capire persino che un film che tu stronchi possa essere potenzialmente il mio film preferito. Tra i miei critici preferiti posso tranquillamente citarti gente con cui sono d’accordo anche solo il 50% delle volte, perché sanno quello che dicono e lo esprimono chiaramente.

Per parlare di cinema basta aver visto molti film? O servono altre competenze?

Di nuovo, dipende sempre a chi parli. Premettendo che i film è più importante capirli che guardarne tanti, diventa di nuovo una questione di essere onesti e sapersi esprimere chiaramente.
Prendiamo Matrix. Parlando molto alla grossa: se non conosci i film di John Woo è probabilmente la cosa più mondiale che tu abbia mai visto, e la reputazione di cui gode lo dimostra. Se hai visto i film di John Woo invece lo troverai una pallida, legnosa, noiosa imitazione che azzecca due slogan filosofici e l’inquadratura di Keanu Reeves che fa il limbo al rallentatore. In quest’ultimo caso farai il tuo sacrosanto dovere di persona informata ma leverai a qualcuno l’esperienza del decennio e, probabilmente, l’aggancio per recuperare i film di John Woo. Il primo caso invece è quello in cui mi ritrovo io ogni santa volta che leggo critici rinomati che si lasciano impressionare dalla violenza dei film di Tarantino, dalle scene sportive di Million Dollar Baby, o da The Grandmaster.

Quindi in sostanza mi stai dicendo che il compito principale di chi scrive di cinema è quello di contestualizzare (come succede con i film di successo) e cercare (indicando film meno conosciuti) lasciando un po’ da parte le stroncature, i giudizi tranchant e il – chiamiamolo così – dogmatismo. Mi interessava molto anche quando hai detto che è più importante capire i film piuttosto che guardarne molti. Prendiamo l’esempio di Django di Tarantino. Mi sono trovato a leggere recensioni che erano saggi di migliaia di battute che tentavano una spiegazione culturale e politica scritte da persone che chiaramente non avevano mai visto un film blaxploitation. Non si rischia con capire più che vedere di non uscire mai dal proprio giardino felice?

Il capire va ovviamente coltivato. Quello che volevo sottolineare è che c’è gente che esce da scuole – ma anche autodidatti – che ha visto miliardi di film e continua a non distinguere il regista dallo sceneggiatore o dal montatore (non che sia una scienza infallibile partendo dal prodotto finito, sia chiaro). Se vedi Bastardi Senza Gloria e individui tutto il lavoro di Tarantino al di là della quantità di citazionismi, ne hai capito di più di chi si è sparato tutti i suoi film e continua a dire che copia e basta. Poi è scontato che più vedi, più capisci e/o consolidi. E continuare a vedere è importante.

Che intendi con “capire un film”? Non si tratta semplicemente della trama, immagino. C’è sempre il rischio, secondo me, dell’eccessiva razionalizzazione che finisce sia in fiumi di inchiostro per pellicole sperimentali sia in altrettanti fiumi per rivalorizzare i cosiddetti film di serie B. Che sarebbe, tradotto, Mereghetti vs Recchioni, che dal mio punto di vista sono due facce della stessa medaglia.

No be’, c’è un limite fisiologico all’analisi che puoi fare di un film. Esempio: se lo guardi quattro volte in tre giorni è MATEMATICO che hai trovato un sacco di piccole cose interessanti ma perso di vista l’insieme.
“Capire un film” è un concetto supervago che parte dall’individuazione del target e dei concetti che vuole esporre e scende giù giù fino al formulare la propria migliore ipotesi su chi ha merito/colpa di cosa e perché una scena funziona o non funziona. Riguardo al confronto Mereghetti/Recchioni si torna a quello che dicevo sopra: tu devi avere chiaro cosa vuoi sapere dalla recensione di un film e cercare un critico che affronti quegli aspetti. Mereghetti paga tantissimo le sue esigenze da generalista, che gli impongono di pretendere di saper valutare ogni genere di film con egual rilevanza. Recchioni paga il suo mestiere specifico di sceneggiatore di fumetti che lo porta a fare molta attenzione ad alcuni aspetti piuttosto che ad altri. Un esempio è la sua visione tanto interessante quanto platealmente sbilanciata di Iron Man 3. E pure io ho le mie fisse.

Volevo appunto chiedere a te, che con I 400 Calci ne fai parte, cosa ne pensi di questa rivalutazione, o riscoperta, di film dimenticati od osteggiati. Come ha influito sul successo dei 400?

La riscoperta è una cosa fisiologica e ciclica. Non è (sempre) questione di “quando ero bambino io le cose erano più fighe perché è la MIA generazione”, è semplicemente il frutto del guardare le cose slegate da un contesto di attualità e promozione. Ti accorgi del valore di certe cose quando vengono a mancare, o si evolvono in altre dal sapore diverso, e allora confronti e capisci in cosa erano davvero speciali (e viceversa).
Ho aperto I 400 Calci per parlare del modo in cui io vedevo il cinema. Per background personale siamo specializzati in certo Action anni ’80, ma l’ho aperto quando il progetto Expendables era appena stato annunciato e il cast prevedeva giusto Sly, Statham, Li e forse Lundgren, e non si aveva la minima idea se qualcuno se lo sarebbe davvero filato. Sono rimasto sorpreso quanto loro che ci fosse un target ampio per queste cose. È un fattore che sicuramente influisce sul nostro successo, ma credo puramente da un punto di vista degli argomenti trattati. Mi premeva mettere a disposizione un luogo in cui si approfondissero certi generi senza ammassarli nel “è un Action/Horror quindi è brutto” e nemmeno nel difetto opposto del “siccome mi piace, o dimostro in qualche modo che è un sottovalutato capolavoro artistico totale o la gente non mi ascolterà”; soprattutto dimostrare che si può apprezzare il puro intrattenimento senza essere dei decerebrati, e che l’intrattenimento richiede talento e bravura esattamente come l’arte, o l’introspezione, o la profondità intellettuale, o altre parolacce simili.

Per recensire un film bisogna tener conto del genere o tralasciare e giudicarlo a sé? Bisogna contestualizzarlo va giudicato in toto?

Per giudicare un film non si può prescindere dal riconoscere i suoi obiettivi. Avatar per esempio doveva lanciare una tecnologia costosa e innovativa e rientrare nelle spese, e a quel punto ti puoi anche accanire contro il banale minimalismo della trama, ma se ti coglie di sorpresa sei un ingenuo. A parte questo, cercare di descrivere la recensione definitiva mi mette un po’ a disagio, innanzitutto perché non credo che esista, e poi perché noi su i400Calci abbiamo principalmente altre intenzioni. Abbiamo un target ben preciso di appassionati Action/Horror per i quali la raffinatezza della trama e la profondità dei personaggi sono priorità secondarie dietro alle emozioni trasmesse, e amiamo scrivere pezzi che sappiano intrattenere il lettore, anche se il film di cui parliamo non è degno di particolare attenzione, anche a costo di divagare altrove.

Con internet sembra che ognuno debba avere il suo blog di cinema. Da una parte abbiamo la critica giornalistica che scalpita incazzata o emula con poca destrezza, dall’altra un canto delle sirene dove ognuno dice la sua senza capire a volte nulla di cinema. Come i 400 Calci hanno approfittato di questo strumento, e come lo vedi tu il cambiamento con il web? E’ cambiato anche il modo di parlare di cinema?

La situazione che descrivi è verissima, ma l’unico trucco per affrontarla da scrittore è avere la spavalderia di possedere un’opinione rilevante, esprimerla al proprio meglio e gettarsi nella mischia, che è più o meno quello che abbiamo fatto noi senza troppi calcoli. Quello che è cambiato principalmente è che, aumentando l’accessibilità, la fame di discussione è cresciuta e sono spuntate nuove esigenze, per cui c’è più spazio per sperimentare intorno alla recensione classica. In generale, al riguardo, tendo a essere piuttosto darwinista.
I commenti sono sicuramente interessanti per vedere che venti tirano, ma sono anche molto facili da equivocare: rappresentano solo la fetta più “net-socievole” dei tuoi lettori, che non è la maggioranza.

Hai notato anche tu una sorta di fastidio verso la metafora, il messaggio nel cambiamento di pubblico e un ritorno all’intrattenimento puro?

Il problema del cosiddetto metaforone, per quanto mi riguarda, è dei cineasti e non degli spettatori. Troppe volte negli ultimi tempi ho visto autori affrontare generi come l’Action e l’Horror con la spocchia o la timidezza di non ritenerli degni di sufficiente considerazione se non corredati da una morale o un messaggio. E troppe volte, dal lato opposto, si pensa che a un dramma o a una satira sociale banale e mediocre basti appiccicare un pugno di zombi o mostri assortiti per trasformarla di colpo in un Horror intelligente – un po’ come se, non sapendo come alzare la qualità, ci si nascondesse abbassando la mira e le aspettative sperando che il contrasto sia più favorevole. I generi vanno mischiati organicamente. E quello che infastidisce è quando il risultato è un buon film di intrattenimento sporcato da un accenno di profondità poco convinto, o un messaggio inutile pseudo-rinforzato da scene Action/Horror girate senza cognizione o amore. Il problema non è mai cosa fare di per sé: il problema è sapere cosa si sta facendo, esserne convinti, rispettarlo e farlo bene.

Parliamo del cinema contemporaneo in maniera seria: questo abuso di remake, spin-off e “tratto da” è semplicemente una mancanza di storie originali?

C’è innanzitutto il fattore marketing, per cui quando compri un marchio ti ritrovi una quantificabile fetta di spettatori inclusa in automatico nel prezzo, con tutto lo stress in meno che ciò comporta. Poi c’è il fatto che internet – magari Youtube in particolare – ha reso più semplice l’accesso al passato, rafforzando certi marchi più di quanto era mai accaduto. E poi c’è che, quelle rare volte che Hollywood si tappa il naso e butta miliardi su progetti un po’ meno scontati, gli incassi tendono a essere timidi. Sai qual è in questo momento l’unico genere di film per cui le storie originali hanno quasi più successo di sequel e remake? Gli Horror noiosi con gli spaventerelli. Vai a sapere.

Una piccola parentesi sul genere supereroistico: cosa ne pensi?

Faccio parte di quella generazione in cui se non ti piacciono i supereroi sei strano, e sono emozionato di essere finalmente nella maggioranza. È indubbio che il genere stia crescendo, e mi piace che lo stia facendo con successo in due direzioni distinte. Personalmente preferisco la strada intrapresa dalla Marvel: osano complessi progettoni a lungo termine e, come dicevo sopra, non hanno paura di mettere in scena semplicemente una bella avventura fantastica.

Cosa rispondi a chi ultimamente tira fuori paragoni come “Le serie Tv sono meglio del cinema”? (Spesso solo gli stessi che un tot di anni fa “non avevano una televisione”)

Che mi piacerebbe verificare di persona, ma non sono mai entrato nel ritmo di fruizione delle serie TV e ne vedo davvero pochissime. Ne riconosco il recente aumento di reputazione, ma rimangono una cosa molto diversa dal cinema. Forse una palestra, in un certo senso. Non mi sbilancio, non seguo abbastanza.

Perché si dovrebbe smettere di parlare male del cinema Action, di prendere in giro Sly e Schwarzy? Cosa può insegnare il cinema di puro intrattenimento a un giovane intellettuale che vuole fare l’ennesimo film sulla condizione degli operai russi di fine Ottocento?

Io so cosa gli insegnerebbe andare a lavorare sul serio in fabbrica in Russia. Scherzi a parte: se quelle sono le sue mire, dagli Action scoprirà che qualsiasi pirla è capace di fare un convincente accento russo, incluso Steven Seagal. Per il resto, io parto dal presupposto che il cinema, in quanto esperienza sensoriale alternativa, serva a farti vedere ciò che di norma non vedresti nella vita quotidiana, per cui di base sarò sempre perplesso di fronte a chi prende un mezzo con cui si potrebbero creare avventure di mostri che si menano nello spazio e lo usa per riprendere due persone che si parlano in cucina. A parte questo, una volta rimosso l’eventuale atteggiamento snob nei confronti dei contenuti, i migliori film di Sly e Schwarzy offrono tutto quello che offrono gli esemplari migliori di qualunque altro genere di film: grande mestiere, grandi emozioni.

Quanto è grande il sito dei 400? Quanto traffico genera?
Siamo piuttosto ingombranti. Diciamo che il lunedì mattina consiglio di uscire di casa un po’ prima e, se il tempo lo permette, usare la bici.

Come viene scelto un redattore dei 400 Calci?
Personalità, preparazione, affidabilità e la prontezza a eseguire ogni ordine a gratis senza fiatare altrimenti spacco tutto, che è una scena che nessuno vuole vedere.

Cosa risponderesti a un direttore che non fa recensioni o sezioni culturali perché li considera un tic da vecchi giornali? Considerando che l’approccio dei 400 è il contrario dell’approccio “giornalistico”.

C’è che secondo me ha ragione. O aprono una sezione apposita fatta bene e capace di reggersi sulle proprie gambe – il tipo di sezione che tu visiti perché ritieni autorevole anche se magari non ti interessa né mai ti interesserà il resto del giornale, per dire – o è abbastanza inutile. Altrimenti diventa parlare di cinema a chi non si interessa di cinema. E allora meglio non forzare una sezione fissa e accontentarsi invece di approfondire casi eccezionalmente meritevoli o ricchi di spunti.

Una cosa che trovo spesso nelle recensioni italiane di film o serie tv è utilizzare il soggetto recensito per parlare d’altro. Come se parlare del film in sé, delle sue parti, rimanere ancorati all’oggetto, sia una cosa da poco. Posso parlare di Elysium senza tirar fuori “il sistema capitalistico americano che non va”?

Sono appunto i tipi di pezzi che nascono quando vuoi o devi parlare di cinema a chi non si interessa di cinema, e in certe testate ha perfettamente senso così. Sono interessanti se il messaggio nel film in oggetto è davvero forte, danno ovviamente fastidio quando sembrano forzati perché qualcuno in redazione ha detto “bisogna assolutamente fare in qualche modo un articolo su questa cosa famosa”.

Riguardo al rapporto critica e web non ti pare che, col fatto che una stroncatura o un tweet sagace – vedi l’affaire Ben Affleck/Batman – fa più visite e circola di più di una rece appassionata su Pacific Rim, ecco, non ti pare che tutto questo meccanismo rovini un po’ il lavoro fatto bene limitandosi a dare bastonate?

Sono d’accordo, e in quanto a superficialità mascherata da critica ci aggiungo quella serie di filmati alla “tutti gli errori di”, che ogni volta che vedo qualcuno che li diffonde mi viene l’orticaria. Ci sono in mezzo discorsi di sociologia spiccia, tipo che la gente ama giudizi rapidi che semplifichino la vita e permettano di catalogare le cose in modo netto e definitivo, che siamo una generazione a cui piace distruggere perché è più facile che costruire, ecc… Ma di nuovo, se ti accontenti di un tweet sagace significa che in fondo l’argomento non ti interessa. Per noi la battutina è importante perché rallegra la giornata, ma non lasciamo mai che vada a scapito dell’onestà del giudizio.

– Enrico Rama –

Host

Nata nel 1994 a Torino la Scuola Holden è una scuola di Scrittura e Storytelling dove si insegna a produrre oggetti di narrazione per il cinema, il teatro, il fumetto, il web e tutti i campi in cui si può sviluppare la narrazione. Tra i fondatori della scuola Alessandro Baricco, attuale preside.